LINEA CRITICA


CRISI DEL CAPITALISMO CENTRALE ?

scritto menzionato e premiato entro la XV edizione(2004) del premio AHESTE nella sezione Ricerca


  CRISI DEL CAPITALISMO CENTRALE ??

 

I Titoli

con forza Lenin !!

caso Parmalat (esemplificativo)

la sovietizzazione

la valorizzazione dell'interesse pubblico (trust e concentrazione)

LA VALORIZZAZIONE DEL CONTROLLO PUBBLICO: L’AUTORITY (NEOLOGISMI ANGLOFONI….)

LA VALORIZZAZIONE DEL CONTROLLO PUBBLICO SULL’ENERGIA

POST DEMOCRAZIA

POST-EUROPA

POST-FINANZA

RITORNO AL NULLA

GUERRE PLANETARIE

SUPER FINANZIAMENTO E STABILITA’

CRESCITA ZERO

RICOMPOSIZIONE

LA QUARTA PARTE:ATTACCO ALL’EMPOWERMENT ED ALLA SUA CONTROPARTE COMPOSIZIONISTA EUROPEA

 

 

 

CON FORZA,LENIN !!

 

Il lavoro che cresce non è vincolato alla produttività ma alla gratuità. I numeri degli impiegati aumenta in relazione all’aumento dell’out sourcing: la pratica del sub appalto, applicato al ciclo produttivo sollecitato dalla competitività che induce costantemente ad abbattere i costi. Il risultato è il costante regresso del valore del salario e l’allungamento dei tempi di impiego. Negli ultimi anni,l’Italia è intervenuta sul mercato del lavoro in vari modi,ha leggermente modificato il sistema fiscale e ha messo mano alla riforma delle pensioni.[ tratto da Corriere Economia del 22 dicembre 2003] (* Attenzione al passaggio,si parla di ultimi anni,non di governo Berlusconi bis,inevitabile il coinvolgimento di quello che chiamano sinistra in Italia)

Tutto vero,ma mentre da una parte liberalizzano e privatizzano,dall’altra vengono eretti muri potenti costituiti da trust,concentrazioni,lodi,spalmature,contribuzioni di stato,dipanazione nei secoli dei debiti su debiti. Di conseguenza quello che viene tolto da un parte,viene aggiunto dall’altra,in puro stile medioevale.

 

CASO PARLAMALT ( ESEMPLIFICATIVO)

 

L’esternalizzazione caratterizza l’operato delle super multinazionali come la Parmalat che prende,con tutti i suoi segmenti,36.000 persone. La bolla d’aria dei numeri d’impiego – bolle d’aria che tanto piacciono ai super totalitari alla Schifani – a quanto pare investe anche quella dei bilanci – ma qui entriamo nella pratica distorta dell’eterno falso in bilancio - : la Parmalat infatti portava nel 2002 bilanci completamente fasulli. Tutto è iniziato con la liquidazione di obbligazioni a scadenza del valore di 150 milioni di euro. Una liquidazione che scatenerà a cascata tutta una serie di mancate riscossioni fino ad arrivare a 7 miliardi di euro. Dalle società estere spariscono 4 miliardi e per questo il presidente Calisto Tanzi rassegna le dimissioni. A quanto pare le garanzie del “caymano” non erano niente,ma proprio su questi soldi fantasma si basavano le garanzie per le licenze commerciali. Lapidaria la conclusione della Procura di Milano : “ A prescindere dall’entità gigantesca del collasso finanziario,con la legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio e con il tribunale fallimentare,in Italia nessuno paga il conto dei disastri finanziari.”

Ecco le basi straordinarie del rilancio economico prospettato dai super – manager neo – gotici della maggioranza destrorsa del paese. Straordinaria la fantasia della truffa parmigiana: in puro stile italiota venivano fornite concessioni di sfruttamento del marchio Parmalat attraverso carte intestate delle aziende fornitrici,riempite in inglese maccheronico. Il famigerato conto “del caymano” veniva riempito da falsi titoli,da carta straccia. Le eminenti di super laureati ai maggiori college del mondo a quanto pare si sono fatte turlupinare da carte intestate maccheroniche ?? Non è proprio così. Questo della Parmalat è uno specchio che riflette quello che è il capitalismo,meglio il social – capitalismo. Un capitalismo concepito come ideale,senza frizioni,spinto dalla crescita spropositata attraverso costo zero, attraverso monopoli raggiungibili anche attraverso la falsificazione.

 

LA SOVIETIZZAZIONE

 

Gli sproloqui delle menti liberal di quotidiani come il Cor Ser sono identici alla carta intestata Parmalat: le vaticinate misure strutturali SONO PURA FANTASIA perché IL RAPPORTO TRA LA DOMANDA (una supposta grossa come il pianeta Giove) e l’offerta (una capocchia di spillo) è più che sproporzionato, è al di fuori di qualsiasi logica. Ed ecco che rientra in gioco ,con forza, lo stato,il socialismo di stato. Quello che sembra un paradosso in realtà è un travaso di quello che è lo “ STATO E RIVOLUZIONE” leninista nelle menti delle grandi dirigenze industriali post- comuniste: al di qua della cortina di ferro si è scoperto che la ricetta di Lenin,di uno stato azienda unica – come fase inferiore del comunismo – non era una bestialità. Attraverso la pratica del decreto,della legge- delega,dell’imposizione della fiducia,qualsiasi democrazia “occidentale” riduce la rappresentanza democratica al vertice del gabinetto governativo rendendo inutile il parlamento,espressione interclassista massificata che annulla lo scontro di classe di  marxista memoria.  Tutta la teoria di corpi intermedi  ( partiti,associazioni,sindacati,club,logge,sette…..) fa da cornice ad una struttura sociale sostanzialmente corporativizzata,esaltando ancora di più l’inutilità della rappresentanza. Ed ecco dalla traccia sovietica sorgere l’intervento statale verso la crisi Parmalat ( all’indomani della crisi Fiat…..). L’eterno intervento dello stato,quell’intervento che gli stessi macro-dirigenti vorrebbero ridimensionare. I “bocconiani”,quelli delle fondazioni di idee,alla fine ripiegano sulla valorizzazione degli interessi pubblici affiancandola alla valorizzazione “smitiana”.

 

LA VALORIZZAZIONE DELL’INTERESSE PUBBLICO ( TRUST E CONCENTRAZIONE)

 

Ci sono varie “tranche” che pesano come enormi feudi sul dato economico italiota. Questi filoni non si riferiscono solo ed unicamente al dissesto industriale italiota ( Fiat,Cirio,Parmalat,Gruppo Cecchi Gori…….),ed alla invadenza delle banche, ma anche ai cartelli pubblici ed alla loro commistione con uomini “usurizzanti” che sfruttano il grimaldello pubblico per sostenere un particolare monopolio. Si parla tantissimo sopra la legge destrutturate l’industria dell’informazione,ma dalla Sicilia si pone all’attenzione il monopolio dei Sali d’ordine pubblico: L’ITALKALI. Questa industria vede il suo 51% dell’azionariato sotto il controllo della Regione Sicilia,un controllo tuttavia  che vede la gestione affidata ai detentori del 39% dell’azionariato privato che nomina l’intera amministrazione. L’espressione di questo controllo vede alla presidenza un nobile siciliano:tal Ernesto Ragona. Ottantenne,il suo comando feudale si dipana fin dai tempi dell’immediato dopoguerra. Dal 1972 all’interno dell’ente “beneducesco” che gestisce lo sfruttamento minerario del salgemma,nel 1985 vede l’ente trasformarsi in spa diventando per questo Italkali. Da quel preciso momento si scatenerà sopra il capo di questo nobile un continuo “andirivieni” nei confronti della magistratura siciliana. Nel 1986 veniva infatti arrestato per peculato aggravato,il suo procedimento finirà in cassazione nel 1991; nel 1994 veniva nuovamente arrestato per aver pilotato un esborso spropositato della regione sopra un arbitrato. Un procedimento decisamente italiota perché vedeva da una parte il potere pubblico e dall’altra l’azionista di maggioranza della medesima società. L’Italkali infatti aveva risolto il contratto d’affitto delle miniere gestite dall’ente (della regione) chiedendo quindi i danni alla regione stessa che apriva i rubinetti delle casse pubbliche. Mentre la regione mandava denari alla spa dall’altra parte chiudeva le miniere di Pasquasia: lo scontro con i sindacati si risolse con la regione che mandava in pre pensionamento i quarantacinquenni e tutti coloro che avevano maturato 15 anni d’anzianità nella miniera. In un solo colpo il potere pubblico si rendeva protagonista di un esborso “quadribolato” all’interno della sua stessa società,società che nel 1997 decideva di liquidare. Nel frattempo il procedimento a carico del Morgante si bloccava,cosicché il presidente della società liquidataria – l’Italkali – nel 2002 presentava istanza di risarcimento danni per lentezza della giustizia ( ?!?) spalleggiato da una squadra di avvocati targati PDS-PRC. In definitiva la liquidazione – avviata nel 1997 – risulta ancora in alto mare stante il perdurante contenzioso regione- Italkali,stante la presenza del Morgante posto dalla regione stessa a capo della società.

La fiumara dei soldi pubblici ,che come abbiamo visto in Sicilia sorregge contenziosi ( da 343 miliardi) e mostri come l’ente miniere (1483 miliardi),sta alla base anche del futuro assetto europeo.

Sotto la presidenza italiota è saltata per aria la realizzazione di una costituzione europea a 25,ma l’attenzione si è subito spostata verso la torta dei “fondi strutturali”: un tortone capace di succhiare qualcosa come il 70% del bilancio UE,quantificato nel 2002 a 100 miliardi di euro. Un oceano di danari che G.B. , Germania,Francia,Olanda,Svezia,Austria non vogliono defalcare a favore dei costi  di allargamento. La guerra dei fondi strutturali  è stata subito avviata andando a colpire soprattutto la Spagna che succhia il 38,3% dei fondi contro il 14,7% destinato alla Germania per l’ex DDR. Da Madrid fanno subito sapere che non sono intenzionati a vedersi tagliati i fondi ; da Bruxelles per contro affermano che il mancato allargamento della quota percentuale segnerebbe semplicemente la fine dell’integrazione europea. La disintegrazione europea sembra già avviata in Italia con la placitazione sopra le legge sul disordine televisivo ,prodotta dalla “mente” Gasparri,addotta dal Commissario europeide Monti. Dopo lo stop imposto ai decreti “spalma – debiti”,congeniato allo scopo di far partire il campionato di calcio italiota,l’italiano sembra voler ammorbidire la mano sul suo paese. Il nodo fondamentale non verte sulla assegnazione delle frequenze e sull’irruzione della nuova tecnologia ( poderosa cortina di fumo….) ma sulla mega TORTA DEL SIC,OVVERO DEL SISTEMA INTEGRATO DELLE COMUNICAZIONI. Questa sigla,questo spot rinchiude un universo composito di voci: canone tv,pubblicità,offerte televisive a pagamento,sponsorizzazioni,televendite,editoria……Insomma un elastico allungabile in una serie infinita di direzioni fatto appositamente per scavalcare un fantomatico tetto imposto per evitare la concentrazione. In realtà con la sigla SIC si interpreta un gigantesco trust che microscopicamente il commissario non vede. Meglio,non vuole vedere. La partita è decisamente trasversale ai poteri pubblici degli stati e del super stato. Succede infatti che immediatamente all’indomani del crollo della COSTITUZIONE EUROPEA ,l’esecutivo europea ha immediatamente trascinato l’Italia a rispondere sopra i mancati contributi derivati dalla politica dei condoni: politica del risanamento che se vanificata dalle direttive europee comporterà un aggravio non indifferente alle casse pubbliche italiote. La battaglia sulle privatizzazioni – molto sui generis – può rivelarsi un boomerang pericoloso perché se da una parte si tenta di liquidare parte del patrimonio pubblico ( spesso svenduto ) ,dall’altra il mancato introito rappresenta una mancanza nei confronti dell’Europa,la quale batte immediatamente cassa. (…come visto all’interno della guerra dei fondi strutturali….). Di fronte a questi ammanchi,il commissario Monti non ha voluto calare un ulteriore veto sopra le azioni della classe dirigente italiota.

 

LA VALORIZZAZIONE DEL CONTROLLO PUBBLICO: L’AUTORITY (NEOLOGISMI ANGLOFONI….)

 

Nonostante le affermazioni di extra parlamentari di lusso,lo stato non si sta deperendo,si modifica ma non scompare. La questione del quinto potere in Italia viene affidata all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni  ( sigla AGCOM) affidata a tal Enzo Cheli. A questo personaggio pubblico verrà affidato tutto il complesso procedimento decisionale che comprenderà l’analisi dei 18 mercati identificati per quanto riguarda le telecomunicazioni,l’imposizione degli obblighi,la consultazione pubblica con gli operatori,il parere dell’anti trust nazionale e della commissione UE. Nuovamente all’AGCOM lo stabilimento delle regole di Broadcasting,ovvero delle norme per l’accesso non discriminatorio delle nuove televisioni alle reti di tv digitale terrestre(analogico) controllate da Rai ,Mediaset,Telecom e per l’accesso alla piattaforma satellitare SKY ITALIA dell’australiota Murdoch ( definito re Mida alla rovescia). Sempre all’AGCOM la risoluzione della diatriba tariffaria E-Biscom e Sky Italia. La prima infatti ha acquisito diritti di programmi trasmessi sul satellite,trasmettendoli via cavo. Non ultimo l’AGCOM dovrà interagire sopra la legge Gasparri sul riordino delle telecomunicazioni ( che il commissario Monti ha reputato ottimale….). Rientra in gioco il famigerato SIC: sotto questo aspetto Cheli si dovrà confrontare sull’affare Rete4 ,tv “privata” abusiva in quanto trasmette sopra canali non suoi. Il SIC e Rete4 sono stati le discriminanti che hanno obbligato Ciampi ,il presidente più impalpabile della storia dell’Italia Repubblicana,eccezion fatta per il suo romanticismo patriottico,a rimandare la legge ,approvata,alle camere.

 

LA VALORIZZAZIONE DEL CONTROLLO PUBBLICO SULL’ENERGIA

 

 La battaglia energetica,da sempre,si fonda sopra l’abbattimento dei costi,tutto ciò ancora di più a partire dal 1973.

Il miracolo economico italiano del dopoguerra verrà segnato soprattutto dall’avvento del consumo energetico dovuto allo sviluppo industriale a cui si allegava la progressiva diffusione degli elettrodomestici. Per soddisfare il fabbisogno fu dato l’avvio alla produzione termo-elettrica che tra il 1956 ed il 1960 rovescerà il precedente dominio idro elettrico. Parallelamente,dal 1952 veniva creato il CNRN ( Centro Nazionale di Ricerca Nucleare),per lo sfruttamento della fissione atomica (*) a scopo energetico. Tra il 1959 ed il 1961 venivano aperti 4 reattori atomici ( Ispra,Varese;Agip Nucleare ENI,Latina;SEM IRI Garigliano;Edison Volta,Trino Vercellese). Immediatamente l’Italia si trovò ad essere il terzo paese del mondo ,dopo USA e G.B. (eccezion fatta per l’URSS),nel produrre energia nucleare. Nel 1962 il parlamento italiano istituiva l’Enel,l’industria nazionale pubblica per la produzione e distribuzione dell’energia elettrica. La statalizzazione dell’industria energetica rientrava in quello che sarà l’entrata dei socialisti di Nenni nel governo della nazione; socialisti “sdoganati” non solo dal fiato corto della DC – che falliva il suo progetto di blindatura del parlamento con la Legge Truffa del 1953 - ,ma anche dall’amministrazione kennediana,la quale malversava un irrigidimento su posizioni estremiste dell’Italia,dato il delicato momento internazionale scatenato dalla crisi cubana. In ogni caso i socialisti al governo imposero il carattere pubblico della produzione all’interno di una concezione sovietica dell’azienda stato,ritenuta unica interprete dell’interesse nazionale ( …e così non può essere sopra uno strato sociale interclassista come quello italiota: in realtà già allora la battaglia era tariffaria,ovvero il basso costo energetico a favore soprattutto del ceto industriale ,il favore alla collettività si configurava come eccedenza….). La statalizzazione comporterà l’assorbimento di qualcosa come 1000 aziende elettriche  la cui gestione risulterà alquanto complicata. In ogni caso all’interno di questa nuova cornice vide una crescita esponenziale dello sfruttamento del petrolio ,crescita sollecitata dall’insufficienza idrica italiana. Anche il nucleare veniva accantonato nello sviluppo a favore del carbone e ciò soprattutto all’indomani della crisi del 1973. Immediatamente furono varati piani di “austerity” improntato al risparmio energetico : domeniche a piedi,vincoli di apertura ai negozi,ore legale…..Contemporaneamente  fu varato il Piano Energetico Nazionale  che prevedeva il ripristino dello sviluppo nucleare (1975) per arrivare ad una potenza complessiva di 20000 MW entro il 1985. La rivoluzione komeinista in Iran , 1979,segnava un altro balzo in avanti dei prezzi petroliferi; la successiva guerra Iran – Iraq triplicherà il costo di un barile di greggio rispetto al 1978. In relazione a ciò,di fronte all’ulteriore crescita dei consumi,il nucleare riprendeva fiato: nel 1981 entrava in attività a Caorso – nel piacentino – la centrale nucleo termo elettrica ,parallelamente viene sollecitata la corsa al metano: attraverso l’ENEA si inizia la massiccia importazione da Algeria ed URSS,finanziando altresì la costruzione di giganteschi metanodotti. Il 1986 è l’anno di Cernobyl : un referendum nazionale chiudeva lo sfruttamento dell’atomo mettendo fuori servizio le centrali esistenti,bloccando i nuovi cantieri aperti. Di lì a poco un nuovo rimbalzo doveva mutare nuovamente il panorama politico energetico italiano : nel 1989 cadeva la cortina di ferro,nel 1992 a Maastricht sorgeva l’Unione Europea. Il riflesso immediato dei due avvenimenti sarà il tracollo della lira e l’esplosione di tangentopoli che determineranno la liquidazione del pentapartito e della figura dello stato fino ad allora interpretata come super partes. La cosa pubblica diviene un affare. Ovvio il coinvolgimento del segmento energetico: l’11 luglio 1992 l’ENEL diviene società per azioni; il 19 febbraio 1999 il Decreto Bersani, per la realizzazione di un ipotetico mercato energetico italiano, vedrà l’ENEL spa entrare nel principale listino della Borsa di Milano con un poderoso collocamento (30000 miliardi di lire).  Le tre consorelle sorte immediatamente (Eurogen,Elettrogen,Interpower) inizieranno UNA CORSA AL RIDIMENSIONAMENTO ED ALLA riattivazione di impianti idroelettrici e termoelettrici. L’attivazione di un mercato energetico ha visto il sorgere della relativa Autority (Autorità per l’energia elettrica e il gas) affidata attualmente ad Alessandro Ortis,persona che si ritroverà a dirimere sopra i blackout,il regolamento della borsa elettrica,l’avvio della borsa del gas,la regolamentazione delle importazioni di energia e delle relative tariffe. All’interno di tutto ciò pesano i decreti Bersani e Letta correlati all’ingombro del super stato UE: liberalizzazione ipotetica unita ad anti-trust e difesa dei maggiori azionisti ENEL ed ENI ovvero i Ministeri dell’Economia e del Tesoro. L’inizio è risultato immediatamente carico di scompensi : la base sopra la quale si fonda il prezzo al Kwh dell’energia  è fornito dal capitale investito. La rivalutazione effettuata dal predecessore di Ortis,Pippo Ranci,risulterà fortemente inferiore alle aspettative – il tutto nell’ambito della guerra dei prezzi  tesa al raggiungimento  di una leninista gratuità – determinando il crollo dei titoli ENEL in borsa. La mancata valorizzazione ha scatenato la fuga….ora la questione passa ad Ortis liberale d’area destrorsa. L’UE preme: infatti nel 2004 scatta la direttiva specifica che permetterà ai possessori di partita Iva di acquistare energia dal fornitore preferito (ovvio il discrimine….) e l’ENEL già si sta muovendo portando in Borsa Terna – la società che controlla la rete di distribuzione – in fusione con GRTN – società che gestisce la rete. Rimane la questione  della borsa del gas,grimaldello ideato anche qui per l’abbattimento dei prezzi. In tutto questo lo stato la fa da padrone e dietro di lui i grossi “truster” sovietizzanti la cui battaglia per il prezzo si risolve nell’assoluta esclusione di un opportuno programma di riconversione.

 

POST DEMOCRAZIA

 

Si assiste ad un ritorno di Tocqueville nella considerazione della democrazia. Il baluardo al potere politico sta nella proprietà privata e probabilmente in questo consiste la corsa sfrenata dei grossi potentes all’arraffa arraffa ghirlandato di indebitamento,cash flow,sfruttamento,out sourcing,off shore,spinta all’iper garantismo giudiziario con estensione sopra quelle attribuzioni che dovrebbero essere di pubblica utilità. Questo ha sconfitto il comunismo e questo è il futuro del lavoratore: acquistando un appezzamento di terra in Aspromonte si assume la garanzia di una tutela verso il potere politico raggiungendo  la cittadinanza di serie A,definendo il discrimine tra chi ha (quindi esiste) e chi non ha(quindi non esiste). Per secoli ci si convinse che la dignità umana derivasse dal semplice fatto di essere al mondo,per secoli le lotte delle persone furono condotte allo scopo di rendere possibile questa esistenza a prescindere dal possesso,in virtù del sostegno di quello che dovrebbe essere la cosa pubblica. Non è così: ci vuole una bella concezione medioevale per sentirsi liberi e indipendenti e non importa come. Basta lotte sul salario,sul lavoro, sui diritti di difesa nel lavoro: bisogna possedere.Nel mercato si ha l’esaltazione del possesso: le continue crisi sono il frutto necessario per il libero espletarsi delle energie individuali.

Secondo dei critici la cornice democratica esiste più o meno . Questo perché il fondamento democratico viene fatto risalire alla libera elezione ad intervalli regolari. Da qui si dipana la divisione dei poteri,l’informazione,l’educazione,eguaglianza  di fronte alla legge,una certa uniformità nei redditi,interesse per la cosa pubblica. Questo dipanarsi tuttavia non è automatico,anzi. A quanto pare si assiste o ad un blocco o ad una regressione. Questa regressione viene indicata dall’arretramento costante alla partecipazione elettorale. Di fronte a questa riduzione ecco estendersi l’iper semplificazione  dei messaggi politici che si trasformano in spot dalla scarsissima ragionevolezza e dalla spiccata unilateralità. Questa riduzione si traduce nella poderosa irruzione del mondo affaristico,del mondo delle lobby,del mondo delle feudalità regresse,delle nomenclature,dei manager politici avanzati. La segreteria di partito diviene snodo per questi mercanti di Calcutta che vestono vestiti da 4000 dollari. La salita di un ectoplasma interstiziale  e profondamente trasversalizzato “partito” come Forza Italia  ne è un esempio più che lampante: non esiste ideologia,non esiste una base militante,non esiste un contatto con la realtà. C’è da aggiungere che anche i paesi con una più lunga e duratura democrazia “compiuta”,come il regno Unito,mostrano delle regressioni abbastanza marcate. La risposta viene allegata al capitalismo: base e limite. Crescono i limiti soprattutto a partire dagli anni settanta con la terziarizzazione che ha eroso la base sociale della social-democrazia. La spirale inflazionistica sollecitata dall’aumento dei costi energetici ha dato sempre più spazio  al dominio del mercato concentrato a scapito del suo andamento “naturale” (metafora “smitiana”,l’ennesima). Le super menti liberal parlano di omni comprensività democratica ma in realtà il loro carattere odierno è lontano da questa dizione. L’esclusione sembra il carattere distintivo ad emergere.

 

POST-EUROPA

 

Nel maggio 2004 dieci nuovi paesi dovranno entrare in una UE abbastanza sui generis. Settantatre milioni di persone che realizzano complessivamente un pil inferiore a quello dell’Olanda. Questi numeri hanno allarmato i “truster” europeidi,la sproporzione infatti viene vista come costo di produzione decisamente inferiore e per questo minacciosa sul mercato;dall’altra parte la relativa quota esportativa dei medesimi risulta così bassa da rappresentare un terreno di conquista. Il mercato di assorbimento della produttività occidentale viene visto come importante contro altare alla febbre cinese,che tanto assilla i truster europeidi. La problematica quindi si sposta sul fronte degli spostamenti umani: solo nel 2003 l’Italia ha regolarizzato 600mila lavoratori “extra”,un numero da solo responsabile dell’aumento della popolazione ( se gli indici fossero naturali,i tassi di natalità sarebbero ampiamente al di sotto dello zero). L’integrazione europea assume questo fondamentale valore: fornire manovalanza per una popolazione in declino morfologico,fornire spazi per il subappalto,per l’investimento fuori piazza a basso costo ed a bassissimo rischio. I segmenti fondamentali sopra cui si concentrano gli interessi sono quelli energetici ,gas ed energia elettrica,dell’acciaio,della telefonia,del mercato finanziario con la privatizzazione del grosso corpo sovietico ereditato da quei 10 paesi. E’ ancora la piccola e media impresa italiana a venire addotta come scudo fondamentale contro gli scompensi economici della globalizzazione. A loro viene sollecitata la delocalizzazione per crescere potendo contare su grimaldelli e pezze non indifferenti ( prima tra tutte la contabilità creativa ed il buon ufficio presso la Russia “cecenizzata”…). Nonostante ciò la peculiarità italiana è anche sul fronte della migrazione interna. IL 2003 ha visto riprendere il fenomeno che vede come tappe finali non più lo storico triangolo industriale ,ma il quadrilatero formato da Bologna-Padova-Bergamo-Reggio Emilia. Le regioni che cedono popolazione vedono in testa soprattutto la Calabria. Si calcola che dal 1997 si è verificato un cambio residenziale per 150mila persone all’anno ,fino ad arivare ad una cifra complessiva vicina al milione. Questo nuovo balzo emigrativi viene correlato alla chiusura della Cassa del Mezzogiorno e dell’intervento dello staTO nel sud: di fronte all’aumento del costo della vita si è assistito ,nelle regioni meridionali,ad un crollo della qualità dei servizi resi a cui si allega la cronica depressione delle attività produttive incapaci di auto sostenersi all’interno di un mercato fortemente feudalizzato ( sintomatico il caso Italkali…). Continua a mantenersi la dequalificazione scolastica: qualcosa come il 37% degli emigrati detiene solo la licenza elementare e va a coprire i posti della grossa ristorazione,del trasporto,del comparto ospedaliero. Nell’area Bergamo-Brescia si affiancano alla diaspora “extra-comunitaria” assorbita nell’industria ( acciaio,mobili,cantieristica,gomma). Lo spostamento massiccio di umanità ha riportato in auge altresì la problematica della mancanza di alloggi “sociali”:  i prezzi dei fitti sono così elevati nei grossi centri da determinare frizione sociale e questo all’interno di un paradosso macroscopico in quanto l’Italia è il maggior produttore mondiale di cemento (probabilmente buona parte assorbito nelle ristrutturazioni….)

 

POST-FINANZA

 

Tra gli scompensi della globalizzazione abbiamo le mercificazioni delle società creative sovietizzanti. Nel corso del 2002 il ministro dell’economia italiota “inventava” la Patrimonio spa e la Infrastrutture spa. Il compito di queste due società era quello di rivoluzionare la concezione del bilancio statale. Visioni quanto meno intempestive perché a distanza di un anno qualcosa è andato storto. Patrimonio spa doveva valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico,Infrastrutture spa doveva reperire danari per far avviare la massa di lavori pubblici programmata all’interno degli enormi voli pindarici della maggioranza ologrammatica. Alle immediate difficoltà di definizione del patrimonio da valorizzare ed alla ritrosia nella costruzione di garanzie patrimoniali,si è unita l’azione dell’AGENZIA DEL DEMANIO. A quest’ultima infatti cade la giurisdizione del censimento immobiliare e la gestione degli accordi territoriali con gli Enti Locali. Nell’estate 2003 un accordo prevedeva la Patrimonio spa come visore finanziario  dell’agenzia: di conseguenza materialmente la gestione del patrimonio è finita in mano all’agenzia. La Patrimonio spa costituiva altresì il  Fondo Immobiliare da 800 milioni di euro,subito finito sotto la gestione BNL. La Banca infatti ha attivato una società di gestione che a sua volta ha creato la DIKE AEDIFICA preposta alla gestione e costruzione di qualcosa come 11 carceri ( recentissimamente rivalutate come centri Call Center di basso impatto: disponibilità di manodopera spropositata e nessuna rogna sindacale….). Così mentre Patrimonio si scorporava,Infrastrutture emetteva il primo BOND ( termine sinistro all’indomani della sindrome argentina….) atto al finanziamento dell’alta velocità (ennesimo cavallo elettorale) a fronte di un capitale di 3,2 miliardi di euro. Tuttavia anche Infrastrutture spa subisce una tara: è la CASSA DEPOSITI E PRESTITI,azionista – pubblico – unico della società che si sovrappone  alla stessa per accorparla. La tendenza infatti vede la cassa fagocitare la società per trasformarla in una divisione,mutando quindi la sua originaria funzione. In definitiva il leviatano finisce per moltiplicare se stesso,tenendo lontanissimo qualsiasi alleggerimento della cosa pubblica in barba a qualsiasi tensione liberal sbandierata ai quattro venti. Ancora una volta una dimostrazione di come lo stato,la cosa pubblica,si modifica ma non si annulla. Lo stato crea se stesso così come il debito: il debito non si estingue,si trasforma. Un concetto chiave che ci permette di capire perché,di fronte al progressivo calo della popolazione,aumenta la spesa previdenziale. Continuare ad addurre la responsabilità sulla lunghezza della vita risulta essere una forzatura. La tendenza non è nella vita ma nel flusso contributivo che regredisce pesantemente in relazione alla legalizzazione del lavoro in sub appalto che NON FORNISCE CONTRIBUTI. Il peso si scarica verso chi mantiene un posto di lavoro dipendente fisso: il contributo di chi ha un lavoro fisso  non solo è aumentato ma E’ INSUFFICIENTE PER RAGGIUNGERE LA PENSIONE CHE INFATTI DOVRA’ ESSERE INTEGRATA DI TASCA PROPRIA. Immediatamente i mega economisti si sono scatenati nelle loro analisi fondando il tutto sulla “ripresa”: la ripresa viene vista come il grimaldello per un nuovo sistema contributivo. La problematica continua a scalzare il peso costante della CARRING CAPACITY e della CURVA DI LOTKA,secondo la quale la così detta ripresa – per la costante saturazione del mercato – è destinata sempre più a restringersi nel tempo. La domanda è: come pensano, i tecnici della finanza,di produrre un sistema nuovo a fronte di unità statali non solo lievemente ridisegnate ma addirittura assillate dalla nascita di un ulteriore super stato??

Il peso debitorio del super stato non farà altro che mantenere alti i contributi e lo storno sopra una ipotetica ripresa rappresenta un privilegio: i più fortunati potranno godere di un regime pienamente integrativo,il resto – la stragrande maggioranza – NO . Il depauperamento finanziario sociale finirà per essere il contributo ai continui sostegni verso una industria ed un terziario CHE NON SI RIDEFINISCE MANTENENDO ELEVATI IL CONSUMO ENERGETICO TERMICO,CHIMICO E TECNOLOGICO,tre elementi saturanti della Carring Capacity e fagocitanti immense quantità di danari pubblici. Disastrosa anche l’ipotesi di un aumento di produttività dei lavoratori: ciò solleciterebbe oltre misura il consumo mancando il rifiuto di un complesso produttivo fortemente erodente le risorse del pianeta. E’ quindi necessario ripensare cosa produrre perché siano garantite conservazione ambientale,diminuzione del lavoro ed aumento della capacità di far valere il soldo. Il continuo vaglio delle SOLUZIONI INFERIORI LENINISTE è morboso ed anti umano,soprattutto perché dimenticanti quella che dovrebbe essere la fase SUPERIORE DI QUELLO “STATO E RIVOLUZIONE”.

 

RITORNO AL NULLA

 

La problematica del Mega – Truster è sempre quella: chi erediterà l’impero??

A differenza della cosa pubblica che si trasmette per contratto popolare,la cosa privata si trasmette per via familiare,per rapporto di consanguineità. Le famiglie “allargate” dei mega - truster lo sono ancora di più con figliolanze di primo,secondo e terzo letto che si fanno avanti per spartirsi le spoglie del loro “vecchio”. La guerra di successione coinvolge inevitabilmente il portafoglio delle imprese multinazionali ,ed il portafoglio significa interferenza degli azionisti. E’ il caso del mega borg Murdoch,l’imperatore della televisione mondiale. Recentemente è esplosa la problematica della successione. L’imperatore vorrebbe cedere lo scettro ai due figli di primo letto ma la sua capacità di decisione si ferma al 30% dei diritti rastrellati dalla sua cassaforte di famiglia  Cruden Investiment. Il resto della torta decisionale è in mano ai colossi bancari Citicorp e Jp Morgan. Dietro le banche si nascondono altri nomi,come quello di Jhon Malone che rastrella il 18% dei suffragi all’interno dell’assemblea straordinaria della Newscorp. A sua volta il nome di Malone nasconde due elementi concorrenziali all’impero dell’australiota: Dinsey e AOL Warner. Per questi maggiorenti feudali la partita è di quelle vitali,in quanto l’impero Murdoch è una entità planetaria. L’ipotetico spacchettamento  coinvolgerà anche la recentissima SKY ITALIA ,monopolista assoluta della Tv digitale italiota,per nulla intaccata dalla legge Gasparri. Il monopolio che si erediterà riguarderà di nuovo l’oscuro SIC ovvero: T-Commerce,vendite via tv,telefonia e futura irruzione nell’editoria. Insomma per gli azionisti di SKY Italia la torta è estremamente allettante e gigantesca. Tra i truster alla finestra abbiamo Telecom Italia,ovvero Tronchetti Provera. Ad una decisione di la da venire si passa ad una decisione già intrapresa ed avviata: la famiglia Cabassi esce di scena da SINTESI società che controlla Bastoni e quindi Brioschi. Giuseppe Cabassi ha 8 figli ed a quanto pare nessuno col medesimo intento. Inevitabile l’uscita. La differenza col truster australiota sta nella con sensualità reciproca,ma non solo. Anche a livello nazionale i Cabassi sembrano rappresentare l’eccezione ,all’interno di una sostanziale crisi imprenditoriale. Crisi che si vuole scavalcare sfruttando grimaldelli provenienti dalla Legge Biagi e dalle prossime riforme fiscali (ennesime….).

 

GUERRE PLANETARIE

 

Nel golfo persico non si concentrano solo le divisioni anglo statunitensi per l’annientamento dei centri terroristici e dei covi dispensatori delle armi di distruzione di massa. Stiamo parlando dell’ “esterna” Francia che con l’Italia sta combattendo una guerra diplomatico industriale per la fornitura di navi da guerra ai paesi dell’area. Le diplomazie dei rispettivi stati infatti sorreggono gli sforzi di Fincantieri e di Direction des Costruction Navales (DNC). Gli acquirenti sono gli Emirati Arabi Uniti,grimaldello d’entrata per giungere a fornire navi da guerra ad Oman,Qatar,Bahrein,Kuwait. (navi da guerra per scudi di sabbia,grandi quanto la Lombardia o poco più….). Fincantieri è decisa e motivata al massimo: per arrivare alla commessa è disposta ad acquistare il 40% della ABU DABHI SHIPBUILDING,il cantiere navale degli Emirati Arabi. Il socio di maggioranza della società è il governo degli Emirati Arabi in cerca di un acquirente per vendere quel 30% detenuto dalla NORTHTROP GRUMMAN,la società USA fuggita dalla ABS di fronte al costante indebitamento del cantiere. Quindi acquisire la maggioranza relativa del cantiere significherebbe raggiungere una preferenza di peso nella battaglia per la costruzione della flotta da guerra. La Francia tuttavia ha riversato nell’affare tutto il suo peso diplomatico: lo scopo è prendere l’ordine senza accollarsi il peso della società cantieristica. A quanto pare i francesi si sono messi in pole position in quanto la progettistica viene discussa tra i francesi della DNC e la marina militare degli Emirati scavalcando Fincantieri.  In soccorso di questi ultimi dovranno muoversi il vice ministro al commercio estero Adolfo Urso ed il ministro della difesa Antonio Martino. Questa guerra tra alleati si inserisce nel costante dissesto politico dell’area: la guerra perenne significa sollecitazione verso l’industria bellica con questi paesi d’area intenti a rendersi autonomi dai grossi colossi – Iran e Arabia Saudita – creandosi una propria forza militare. Gli USA si sono già mossi in tal senso vendendo caccia F-16,ma anche i francesi hanno piazzato i loro Mirage. Per l’Italia l’ “affare” Emirati Arabi  significherebbe il ritorno nell’area a vent’anni dalla famosa commessa iraniana,commessa che sarà usata come sfondo per il famoso film di Alberto Sordi “Tutti Dentro”. Gli italiani altresì si vedono coinvolti nell’area in relazione ai 42 miliardi di dollari che il ministro dell’economia e del commercio degli Emirati vuole investire a Milano per una non meglio definita catena alberghiera. Gli alberghi introducono quello che dovrebbe essere il progetto della creazione di una vasta area di libero scambio tra UE ed i 6 paesi dell’area,ovvero Emirati ,Bahrein,Kuwait,Qatar,Oman ed Arabia Saudita. Di nuovo rientra la Francia: infatti questa applica dei dazi in entrata troppo elevati all’alluminio prodotto a Dubai e tutto ciò è un ostacolo alla realizzazione del libero scambio. All’Italia gli onori in quanto già presente a Dubai alla mostra del settore edilizio. L’edile è uno dei settori di punta della media e piccola impresa italiana,quindi Dubai e gli EAU si presentano come area privilegiata per il sostegno ed il rilancio del made in Italy. Così ecco l’impresa per desalinizzazione delle acque FISIA farsi avanti assieme alla IMPREGICO che si sta occupando della realizzazione della più grande moschea di Dubai. In realtà l’enorme e vispa attività delle imprese italiane si lega ad una sostanziale crisi che i casi CIRIO e PARMALAT non fanno che esemplificare. Esiste cioè un fiato corto risalente al 1987,ovvero a due anni prima del crollo del muro. La Federmanager dichiara che da quell ’anno ad oggi sono scomparse quasi la metà delle grandi aziende e le ristrutturazioni seguenti hanno lasciato a spasso parecchi manager di punta che poi non sono riusciti a rientrare. Nel giro di 10 anni la guerra dei ridimensionamenti ha defalcato qualcosa come 20mila iscritti al CIDA – Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte professionalità. Il taglio vede l’espulsione di cinquantenni a favore dei trentenni,i quali costano di meno ma hanno una bassissima “ideologia” d’impresa a fronte di guadagni – che per quanto contenuti – sono esorbitanti. Ciò che colpisce è che la guerra del taglio dei costi sociali vede crescere anche nei manager espulsi la “coscienza di classe”. Sorgono infatti associazionismo per la difesa dei diritti acquisiti dei lavoratori (?!?) per persone che magari poco prima avevano compartecipato al trogolo delle dismissioni depennando personale. Associazionismi che vedono l’irruzione dei quarantenni che le nuove norme pensionistiche interpretano come troppo giovani per la pensione e troppo vecchie per il rientro nel mondo del lavoro.  Incredibilmente gli ex rampanti dell’era del socialismo tangentocrate oggi vedono con terrore l’allungamento dei tempi: i 57 anni erano infatti visti come fondamentale ammortizzatore sociale. Altresì la contribuzione volontaria viene vista come un peso insopportabile soprattutto per il tenore di vita fino a quel momento mantenuto. A livello internazionale uno dei più grossi bruciatori di risorse umane  è stato lo stock optino responsabile di aver gonfiato la bolla della New Economy (stock optino: il diritto ai dipendenti di una azienda di comperare i titoli della suddetta a data e prezzo pre-fissati).

Lo stock option permetteva liquidità all’azienda e piccola speculazione all’azionista che poteva esercitare quando si attivavano le opzioni. Tutto ciò quando la Borsa NASDAQ tirava: quando è iniziato il crollo ,lo stock è divenuto una tara: la speculazione veniva pregiudicata e con essa l’attività del bilancio della società. Gli stock così sono stati sostituiti da pacchetti azionari come premio di produttività,azioni che diventano di proprietà del lavoratore a 5 anni dall’emissione senza caduta di valore in caso di caduta dell’azione stessa. Un incentivo attivato per sollecitare lavoratori e manager nella guerra della competitività ,uno splendido stratagemma taylorista . All’omni-comprensiva banca JP Morgan il compito di rastrellare le opzioni sott’acqua (underwater) col placet dell’autorità di controllo della borsa americana. La guerra della competitività vede colossi come Microsoft essere aggrediti da interfacce come LINUX ed il taylorismo viene addotto come fondamentale per mantenere i cervelli maggiori. In questa spirale la massa di espulsi  muore e basta. Negli USA è la morte il fondamentale ammortizzatore sociale per il peso degli inutili. Gli “utili” invece vengono reinvestiti per la realizzazione di NETWORK digitali ultraveloci : per ultra velocità viene inteso un collegamento  100 volte più rapido dell’attuale. Esso coinvolgerà internet,tv digitale e telefonia. L’ultracollegamento viene visto come attrattiva per la produttività . Gli iniziatori di questo cyberspazio ultrapotente sono nello UTATH  e si chiamano UTOPIA. A loro il compito di servire quasi una milionata di persone e più di 30 mila aziende a 22 euro di canone mensile. In realtà il progetto dell’iper spazio era già stato battuto dalle società Telecom e Tvcable. Gli investimenti realizzati furono talmente elevati da portare alla crisi del settore quando la domanda si rivelerà disinteressata all’altissima velocità. Ora però in ballo ci sono soldi pubblici per 470 milioni di dollari ed i buoni uffici della University of Utah: anche negli USA il leviatano che ritorna…… Nella guerra per la produttività si inserisce il granaio rappresentato dal BRASILE: il MATO GROSSO ex polmone verde forestale amazzonico. Questo neo nato granaio produce soia,ovvero la così detta carne vegetale dai più alti tassi di redditività . Per arrivare a ciò si è proceduto a spianare la foresta trasformandola in distese sconfinate di campi cerealicoli. Da una parte l’attrattiva offerta ad imprenditori e contadini,dall’altra la cancellazione di ossigeno e precipitazioni. La soia prende qualcosa come 14 milioni di ettari  con un aumento produttivo del 216%. Lo scudo orografico favorisce la meccanizzazione ,il caldo perenne la crescita. Si arriva a realizzare il doppio raccolto in un anno. Nella produttività gli USA sono stati surclassati  ed il Brasile è divenuto il primo paese mondiale esportatore di soia. I contadini del Mato Grosso guidano trattori con l’aria condizionata,mossi da GPS, e guadagnano 10 volte di più dei disperati della canna da zucchero. La prospettiva prevede di portare al 40% l’intera superficie agricola erodendo – naturalmente entro i limiti della legge – la foresta. ( stiamo parlando di 10 milioni di ettari di terreno pari alla superficie dell’Italia settentrionale.). La ruralizzazione intensiva corre parallelamente all’asfalto,altra corsa  per il poderoso ammodernamento  del paesaggio di questo stato brasiliano posto al centro del sud – america. Le truppe d’assalto alla foresta sono rappresentate dai contadini : questi   tagliano gli alberi ,poi bruciano,impiantano il riso o realizzano della piccola zootecnia prima di cedere il tutto alla grossa impresa agricola che passa alla meccanizzazione. Il volume,la massa d’ettari  è fondamentale per la coltivazione della soia,sono i volumi ad abbattere i costi di produzione. Questa viene trasportata per due vie sull’Atlantico ; il progetto di una idrovia boliviana permetterebbe l’apertura del mercato Pacifico accedendo ad ulteriori terre per 28 milioni di tonnellate. Tuttavia la vera contesa è per la strada statale 163 che collegherebbe la capitale del Mato Grosso al porto fluviale di Santa REM sul Rio delle Amazzoni. Il governo federale brasiliano ha già placitato  il progetto ma la problematica delle strade che attraversano l’Amazzonia sta nel taglio selvaggio degli alberi: in questo modo l’erosione è raddoppiata. Nella guerra per la produttività è coinvolta anche l’UE,un coinvolgimento che ha spinto ancora di più ai margini gli estremi confini europei orientali rappresentati ora dalla Polonia. Per entrare nel super stato ,la Polonia ha dovuto chiudere i 1240 km di frontiera con Russia,Bielorussia,Ucraina,inaridendo immediatamente quella osmosi che nei 10 ani di transizione dal COMECON  all’UE aveva visto crescere un certo commercio. Il post-proletariato sovietico aveva fatto della spola oltre confine un modo per sbarcare un lunario sovietizzante: oggi quel lunario viene mangiato completamente dai visti. La smobilitazione generalizzata ha visto immediatamente crescere la disoccupazione insieme all’accresciuta sicurezza per i territori occidentali: sicurezza correlata a competitività necessaria nella guerra dei mercati.

 

SUPER FINANZIAMENTO E STABILITA’

 

Nel corso del 2004 le aziende italiane dovranno rimborsare 7 milairdi di euro in obbligazioni. Tra queste obbligazioni vi sono i BOND di CAPITALIA coinvolta nel fallimento CIRIO: 275 milioni di euro congelati dall’amministrazione straordinaria. Le obbligazioni hanno esaltato i rapporti eccessivi tra debiti e capitale. Rapporti che guarda caso contraddistinguono le piccole aziende che non essendo quotate sfuggono all’informazione. La crisi delle aziende si aggrava con le scadenze,costringendole a vendere pezzi per riacquistare liquidità. Questa crisi generalizzata ha finito per trasformare l’obbligazione in una azione. Buona parte della responsabilità di questa super finanza risiede nelle banche che organizzano il collocamento “senza garanzie”. Sorge una domanda: questi scompensi finanziari così diffusi sono indice di stabilità? La forma economica pienamente sviluppata contempla come logica questa struttura che appare fragile senza l’intervento dello stato? Effettivamente la problematica dei super – finanziamenti si salda alla concezione di stabilità: è la stabilità a fornire la garanzia di un prestito fantasmagorico o di un collocamento al buio;ed è sempre la stabilità il termine ideologico necessario risolvente il capitalismo della globalizzazione. In realtà il concetto è un pochino più complicato e la sua storia passa solo ed esclusivamente per lo stato liberale di inizio novecento e nemmeno per gli stati democratici del secondo dopoguerra. Esiste infatti il passaggio rappresentato dalle socialdemocrazie del primo dopoguerra e dei regimi nazi – fascisti,tutte strutture che hanno inserito forme di tutela ( dal sistema sanitario al sistema pensionistico) che verranno continuamente ereditate e concretizzate nello stato sociale. QUESTO NON CHIUDE IL SISTEMA: la stabilità passa anche attraverso profonde crisi e guerre. Per paradosso lo stato sociale funziona da ammortizzatore che non scongiura la crisi,la ritarda. In relazione a ciò esso,pur sorgendo dalla tensione dal basso ,risulta funzionale alla stabilità – capitale escludendo una eccessiva frizione. Tuttavia non basta a contenere la stabilità e di conseguenza ecco scatenare i ridimensionamenti,i tagli,la fortissima ricerca del basso costo ( che poi si traduce nell’esaltazione dell’antico plus valore). Anche lo stato sociale viene rivisto: le tolleranze elevate,la socializzazione drasticamente abbassata; regrediscono altresì le condizioni di lavoro e del lavoro. All’interno della sbandierata crescita tecnologica infatti tenderanno ad esaltarsi disoccupazione e sotto occupazione affiancate ad intensità di lavoro aumentate: a chi si pone a sinistra politicamente ,nelle istituzioni strutturali,lo spettro di far accettare tutto ciò. C’è da aggiungere che manca linearità sia nello sviluppo che nella crisi del capitalismo globalizzato sorto ed impostosi all’indomani della caduta dell’URSS. Di conseguenza quello che si ricava dalla complessità degli incastri esposti in questo Pamphlet è una tendenza. Il preludio,ad esempio,alle guerre esplose all’indomani della fine della bipolarizzazione sta nel clima recessivo che ha contraddistinto la motrice USA. I crolli borsistici del 1987 e 1989 illuminavano  una situazione di sfiducia verso il capitale made USA,il capitale industriale. L’outsourcing e la mercificazione parossistica della tecnologia producevano un gigantesco “off-shore”,favorendo economie aggressive come quella giapponese e tedesca. Si estendeva in Wall Street la pratica della speculazione e della rendita finanziaria ( con l’enorme collusione del petrol dollaro arabico),che a sua volta sollecitava il credito. Quando Bush I “dichiarava” ( espressione infelice in quanto ufficialmente gli USA non dichiarano guerra dal 1941….)guerra all’Iraq,la tendenza finanziaria era già avviata: gli USA si stavano trasformando in debitori finanziari ponendo la produttività in secondo piano. Sostanzialmente,nonostante l’enfasi mediatica per la liquidazione del mondo sovietico,il bastione  del capitalismo mondiale non riusciva più a contenere la stabilità. Questa evoluzione non era lineare (…di nuovo….ndr)in quanto paesi dalla medesima economia ( come Germania e Giappone….di nuovo)mostravano degli indici di crescita invidiabili. La stabilità quindi non aveva solo una valenza interna  ma anche esterna: la tendenza del 1990 vedeva il mondo perdere un riferimento ,l’URSS. Paradossalmente questo vuoto si manifestava proprio quando dall’Europa e dall’estremo oriente arrivavano messaggi chiari di nazioni che potevano fare a meno degli USA e DAL MEDIO ORIENTE arrivava e si imponeva la figura di un IRAQ che batteva l’Iran,in una guerra durata 10 anni ,e che si ritrovava con un esercito tra i più potenti dell’area; esercito che SADDAM scatenava contro la multinazionale petrolifera KUWAIT. Non si può quindi affermare l’esistenza di una pianificazione bellica statunitense,tuttavia la PRIMA GUERRA DEL GOLFO dava l’occasione – CINICA – di riprendere in un certo qual modo l’iniziativa andando ad occupare  uno snodo nevralgico energetico attraverso una struttura militare pesantissima che altresì nell’occasione poteva essere finanziata esternamente. Nella prima guerra di Bush I si  dichiarava altresì conclusa la DREGULATION  “reganiana” dando respiro ad un certo statalismo dirigista di impronta leninista (l’eterno Lenin che ritorna continuamente….): si varano protezionismi e concentrazioni internazionali ( GATT e NAFTA),si sollecita il peso monetario del dollaro arretrato all’indomani della fine del sistema Bretton Woods dichiarata da NIXON (1971). La chiusura USA al Giappone avrà un immediato riflesso nell’economia nipponica che a sua volta si ritroverà a dover fare i conti con la sua stabilità: esplosero con virulenza fusioni ed accorpamenti industriali che produrranno espulsione di manodopera ,crescita inflattiva,crescita disoccupazionale,aggressiva ricerca di nuovi sfoghi di mercato. La rivalutazione del dollaro si inserirà nella poderosa guerra speculativa monetaria contemporanea alla nascita dell’euro (1992) e dell’Europa Unita (Maastricht,1992);Wall Street accentuava la finanziarizzazione della Borsa sempre più speculativa,alla ricerca del guadagno facile e rapido. La scomparsa dell’URSS ed il ritiro dell’Armata Rossa dal cuore dell’Europa producevano l’unificazione tedesca,la subitanea scomparsa di Cecoslovacchia e Jugoslavia. Proprio quest’ultima darà il via ad una lunghissima guerra civile sollecitante l’industria bellica internazionale ( che vedrà coinvolto un amplissimo spettro di nazioni…). L’area slava in eruzione sarà affiancata da quella caucasica con i latenti conflitti locali che andarono ad intrecciarsi con la problematica  curda e con la problematica petrolifera. La balcanizzazione internazionale scatenatasi all’indomani della prima guerra del golfo spingeva verso la corsa alla stabilità delle concentrazioni ,dei trust, del dirigismo di stato. La stabilità passava dalla produttività alla difesa della rendita finanziaria ed in questa difesa la ridefinizione della produzione ,all’interno della cornice globalizzata,verteva sopra  la battaglia dei prezzi delle materie energetiche. Il liquido nero permetteva agli USA di riversare nel mondo dollari  che rientreranno sotto forma di obbligazioni  e titoli che a loro volta finiranno  nelle tasche degli azionisti aziendali  i cui premi – come visto – sono elargiti  in moneta borsistica . Il mercato azionario e obbligazionario verà sollecitato  con forza dall’irruzione di una nuova merce.: la tecnologia. Una autentica bolla che deflorerà nel 1999 determinando un nuovo crollo borsistico. UN CROLLO CHE RIDAVA UNO SCOSSONE ALLA STABILITA’ CON L’IMPORSI DI DUE NUOVE CONCORRENZE: LA CINA DEL CAPITAL-COMUNISMO E L’UNIONE EUROPEA COL SUO EURO FORTE. IL GIGANTISMO ECONOMICO INAUGURATO E CRESCIUTO ALL’INDOMANI DELLA PRIMA GUERRA DEL GOLFO AVEVA DATO VITA A 2 MACRO PLACCHE ESTREMAMENTE AGGUERITE NEI CONFRONTI DEGLI USA E DEL DOLLARO. La seconda guerra del Golfo diventerà,di fronte a una concorrenza non più semplicemente internazionale ma continentale,una necessità impellente,quasi inderogabile per riallineare una stabilità che tendeva a spostare il suo fulcro ( o i suoi fulcri…) Il Kuwait non era più sufficiente: risultava fondamentale allargare il controllo sopra l’area del Golfo,pompare petrolio ,estendere la finanziarizzazione ,legare l’economia  dell’area al dollaro nonché agli USA. La necessità poi si tramuterà in urgenza una volta che anche gli USA si scoprirono suscettibili di un bombardamento (11 settembre 2001). L’area di vincolo ,giusto per rispondere in maniera decisa all’incredibile bombardamento,verrà allargata a Pakistan,area caucasica,Arabia Saudita,Iran,Afghanistan,Iraq: una mega placca da omologare per farne traino.

Siamo di fronte ad una accelerazione alla base della quale sta la crisi della produttività industriale che esternalizza,COSTRUISCE LE AUTO IN TUTTO IL MONDO MA FA FATICA A VENDERLE NEL PAESE D’ORIGINE. Ha bisogno di pompare greggio ,di abbassare i costi energetici,di ricavare lì la rifinanziarizzazione del ciclo: l’ENI così piazza la brigata italiana a Nassyria ,zona petrolifera da 2 miliardi di dollari…… Non parliamo del risentimento franco-tedesco-russo: queste tre nazioni avanzavano ingenti opzioni nei confronti di Saddam  e l’invasione anglo-americana era vista come la peste. Bush II a differenza  del primo dopo golfo, ha scatenato la svalutazione del dollaro. Lo scopo è l’estremo oriente: i capitali giapponesi e,soprattutto,  cinesi. In ballo v’è altresì la scadenza elettorale e questo significa e significava chiudere rapidamente i “conti” con la precedente amministrazione irakena ,collusioni comprese. Sempre la svalutazione del dollaro ha finito per erodere la capacità esportativa dell’UE che non a caso a partire dal 2004 inasprirà le dogane nei confronti degli USA………

 

CRESCITA ZERO

 

E’ questo che caratterizza l’UE. Il traino USA sembra non sortire effetto. E’ completamente cambiato lo scenario di questo secondo dopoguerra del golfo. Il circolo della finanziarizzazione è univoco ed è destinato a restringersi di fronte alla prossima guerra doganale. Non parliamo della frizione diplomatica nei confronti di Francia e Germania,nazioni che non vengono contemplate all’interno di una prossima amministrazione ONU dell’Iraq. La risposta europea è stata sui tassi di interesse  che tuttavia non hanno sollecitato gli investimenti. L’euro forte non da spinta alle esportazioni ,così ecco l’esaltazione dell’intervento pubblico: opere pubbliche e svendita di patrimoni allegate a sanatorie,tagli…. L’Italia  con complicati meccanismi scati europei.e dall'ni,erosioni sopra premi e tredicesime,storno sopra le pensioni dei costi deli contabilità finanziaria riesce a mantenere il rapporto percentuale tra deficit pubblico e pil al 3%,la Francia è arrivata al 4%,la Germania al 3,8%. Lo sfondamento del blocco centrale ha costretto alla rinegoziazione del patto stesso in funzione della crescita fondata sulle eterne mosse sopra la detassazione,gli sgravi,abbassamento del costo del danaro. Si rilanciano i soliti investimenti ma crollano le entrate stornate sopra le spese: costo sociale del lavoro,sanità,pensioni. L’eterna ricetta deve rilanciare la crescita del plus valore che a sua volta spinge il profitto all’interno di una produttività bloccata. Il plus valore odierno viene correlato all’ideologia “evoluta” odierna: FLESSIBILITA’ (sempre se di ideologia si tratta…..). Per flessibilità si intende una manovalanza direttamente legata alle vendite. E’ il lavoro ingabbiato a tempo strettamente determinato e senza alcuna tutela riformista (welfare state). Il ritorno all’antica stabilità  - del lavoro – presupporrebbe una CRESCITA ECONOMICA TALMENTE ELEVATA DA RISULTARE IMPENSABILE. Cina ed Europa dell’est non sembrano sfoghi sufficienti. Anzi,questi nuovi partner sono concorrenziali con il loro basso costo del lavoro. Non solo: la mancata crescita ha portato ad una accelerazione delle riforme fiscali e pensionistiche. La sanità è stata scorporata,qualsiasi prestazione,anche minima,deve essere pagata;le voragini delle casse pensionistiche vengono tappate con defalcazioni,erosioni sopra premi e tredicesime,storno sopra le pensioni dei costi dell’assistenza al mondo disabile,dal 2010 si andrà in pensione a 67 anni. Di fronte a questa larghissima destrutturazione dall’alto abbiamo l’annientamento completo dei sindacati europei. 

 

In Germania funziona la DGB,la Confederazione dei sindacati tedeschi,la quale non mostra alcuna divisione ideologica. Organismo univoco,riferimento ideale per la classe imprenditoriale tedesca, certamente poco distante dall’associazionoismo unico di matrice nazional socialista. La caratteristica di questo mega sindacato tedesco sta nel suo carattere aziendale:il sindacato come azienda che investe in imprese assicurative,edili,del ripsarmio,ecc.,tanto da arrivare ad una autonomia tale da poter sostenere da sola una diatriba,ovvero di TASCA PROPRIA!! Per questo in Germania le mobilitazioni sono precise,generali e vincenti ( come dimostrato dal passaggio alle 35 ore settimani nell’ovest…). Dal 1950 al 1988 la IG-METAL,il sindacato di categoria dei metalmecanici,elergiva ai suoi iscritti in sciopero oltre 515 miliardi di lire. Non solo. La IG-METAL elargisce danari per incidenti realizzati nel tempo libero,versa soldi agli iscritti anziani,agli invalidi,agli eredi di iscritti deceduti. Altresì i sindacati tedeschi esercitano la COMPARTECIPAZIONE ,ovvero il consiglio di sorveglianza aziendale. Questa gigantesca struttura realizza una potente leva di controllo della massa lavoratrice anche se per contro si esalta il corporativismo e la scarsa solidarietà sindacale per categorie di lavoratori più sacrificati. L’evoluzione del sindacalismo tedesco quindi è stato aziendale trasformandosi in ATTIVITA’ CON UN FORTE POTERE MEDIATICO ECONOMICO , cui dirigenti sono contemporaneamente sindacalisti e manager completamente svincolati da qualsiasi legame ideologico. Ogni sindacato di categoria della confederazione stipula NEGOZIAZIONI COLLETTIVE ASSOLUTAMENTE VINCOLANTI ed incontestabili eccezion fatta per i sindacati affiliati. Un colosso monolitico che tuttavia ha mostrato il fianco nel giugno 2003: all’interno della vertenza per l’introduzione delle 35 ore anche in Germania Est,l’IG-METAL HA REVOCATO LO SCIOPERO,PRIMO CASO DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE…. Questo sciopero era visto come la peste dall’alta dirigenza tedesca,perché andava ad incidere sul taglio del welfare che Schroder si apprestava a realizzare. Non solo,le 35 ore ad est venivano quantificate come un aumento del 10% dei costi di produzione. Il fianco sindacale veniva mostrato all’interno di un contesto che vedeva le grosse industrie occidentali procedere alla serrata,determinando per questo,per la prima volta una frattura all’interno del mega sindacato,quando all’est infatti,una studiata campagna allarmistica,faceva rientrare le agitazioni. Ad est il management addiceva costi sociali insostenibili,tali da ridurre investimenti sopra un’area del paese – l’Est – depressa. Inevitabile la diaspora dei tesserati: quasi 50mila solo nei primi 6 mesi del 2003 con una Germania Est che,nel corso dei 10 anni di riunificazione,si è trasformata in una QUESTIONE. I territori orientali infatti presentano tassi di disoccupazione del 19% ed il prossimo allargamento ad est viene visto come una opportunità per saltare a piè pari l’oriente tedesco. La riconversione non ha portato sviluppo: l’impossibilità ad equiparare sia il salario che il tempo di lavoro,sono l’esemplificazione di come un territorio “arretrato” rimanga tale. Il tutto nonostante l’apporto finanziario dello stato. Il fallimento della politica sindacale tedesca ha avuto come riflesso anche il mancato adeguamento del contratto pubblico,con i relativi impiegati impossibilitati alla rinegoziazione per almeno 2 anni e 3 mesi. Infine la parificazione è stata spostata al 2007.

Anche in Francia  si è battuta la medesima strada con il restringimento del “peso” pubblico. La prima ad essere colpita è stata la scuola,successivamente le ferrovie. Anche le 35 ore sono state poste sotto “assedio” in quanto ritenute responsabili della mancata competitività. Altresì naturalmente i dirigenti sono passati alle eterne politiche di taglio,contro taglio e “sobbarco” sopra chi riceve un salario o uno stipendio.  Addirittura grottesca la regressione sindacale in Inghilterra. Mentre Germania e Francia incanalavano la via delle 35 ore,in Inghilterra la settimana lavorativa si manteneva tra le 48 e le 60 ore. Inevitabile l’impatto a livello sociale di un adeguamento della schiavitù che versa entro condizioni salariali così basse da risultare impossibili ad affrontare costi di vita elevatissimi. Inghilterra che più di altri ha proceduto a scorporare,privatizzare,spacchettare l’assetto pubblico,che più di altri ha espulso manodopera. L’allarmismo del mancato introito scongiura qualsiasi rimostranza sindacale.

Come già visto la situazione italiota risulta paradossale: con una legge (30/2003) e due riforme (provenienti dal centro-sinistra),in un solo colpo si sono raggiunti due obiettivi: il primo è il nuovo calcolo della disoccupazione che,con i “nuovi” lavori,è stata quantificata all’8,6% (quando al sud,la disoccupazione tradizionale tocca il 60% !!!), il secondo è quello di aver tagliato il peso pensionistico ben prima della prossima riforma ologrammatica (il cui sigillo finale sarà la chiusura definitiva delle pensioni d’anzianità a partire dal 2008). Con il doppio balzello Amato-Dini la retribuzione pensionistica ha prodotto un calo della copertura dal 67% al 51%. In definitiva una volta concluso il ciclo,le elargizioni pensionistiche dello stato italiota non saranno sufficienti alla sopravvivenza. Attenzione i sopravviventi rappresentano e rappresenteranno già di per sé dei PRIVILEGIATI: chi infatti ha imboccato la via del lavoro ATIPICO ,la copertura massimale pensionistica arriverà al 34% della busta paga. In Italia già nel 2001 venivano censiti qualcosa come 3 milioni di persone entro la soglia della povertà assoluta. C’è da dire che di fronte a questi numeri l’Italia non solo si pone all’ “avanguardia” rispetto a G.B. ,Francia e Germania ma vede una ragione,una lancia da spezzare in favore dei sindacati (numerosi) italioti: ovvero non può essere la spesa pensionistica il peso che grava sopra le contabilità creative italiote. one delle 35 ore anche in Germania Est,l'fianco nel giugno 2003: all'one stipula NEGOZIAZIONI COLLETTIVE ASSOLUTAMENTE

 

 

§§§§§§§§§§§§§

 

APPENDICI

 

 

 

 

Riprendendo fedelmente dal primo libro del Capitale di Marx si legge:

 "la forma del lavoro di molte persone che

lavorano l'una accanto all'altra e l'una assieme all'altra secondo un piano,

 in uno stesso processo di produzione, o in

processi di produzione differenti ma connessi si chiama cooperazione.

 La cooperazione degli operai salariati è un

 

semplice effetto del capitale che l'impiega simultaneamente, la connessione delle

 loro funzioni e la loro unità come

corpo produttivo complessivo stanno al di fuori degli operai salariati,

 nel capitale che li riunisce e Ii tiene insieme. .!"

 

Quindi agli operai salariati la connessione fra i loro lavori si contrappone, idealmente

 come piano, praticamente co-

me autorità del capitalista, come potenza di una volontà estranea che assoggetta al

 proprio fine le loro attivìtà. Que-

sto piano marxista è ideale per spiegare l'introduzione dello scientific management -che

 in Italia avverrà con la Pri-

ma Guerra Mondiale -all'interno delle grandi imprese industriali, anche

 se poi la realtà risulta maggiormente arti-

colata e non irreggimentabile in formule. Tuttavia uno dei dati

 salienti della storia dell'organizzazione scientifica del

lavoro in Italia è costituito dal fatto che i momenti centrali di

formazione dei requisiti funzionali per la sua estensio-

ne furono sempre momenti di grave o storica sconfitta del movimento

operaio italiano come la Prima Guerra Mon-

diale, il fascismo egli anni cinquanta e che quindi il momento della subalternità

 operaia fu sempre determinante.

La sconfitta degli anni cinquanta del "mondo operaio" si lega al fallito

 tentativo dei lavoratori altamente specializzati

di condizionare e trasformare l'organizzazione bassa dell'impresa

 utilizzando da un lato la spinta rivendicativa esi-

stente in tutti i settori del proletariato sull'onda dell'esperienza

 resistenziale, dall'altro le capacità organizzative intrinseche ,

al patrimonio tecnico e alla abilità pratica della forza lavoro

 complessa. Un filo rosso che si snoda dal rifiuto del Cot-

timo alla sua utilizzazione in forme collettive, ai consigli di gestione,

 alle conferenze di gestione che ci portano ad

individuare negli operai specializzati di quegli anni

 non solo dei comunisti legati ideologicamente al blocco orien-

tale, ma soprattutto -secondo GIUSEPPE DELLA ROCCA -dei

costruttori nel senso opposto agli intendimenti del capitalismo

ItalIano. Erano I più forti Oppositori alI' americanismo di quegli

anni che invadeva le fabbriche coinvolgendo la stessa sinistra.

 

Essi costruivano in fabbrica una esperienza che insegnava a

lavorare in modo diverso, erano la dimostrazione fisica che il taY-

lorismo non era il solo metodo applicabile all'organizzazione

di lavoro in fabbrica. Secondo SAPELLI è nella eliminazione del-

la figura sociale ,degli operai produttori e nell'imposizione del

dominio assoluto dei quadri direttivi sull'organizzazione di la-

voro a ridare libertà d'azione agli imprenditori per lo sviluppo

produttivo. Tuttavia bisogna considerare la favorevolissima

congiuntura dell'epoca ed il relativo basso costo delle materie

prime: due fattori di non trascurabile peso. Altresi lo scientific

management che si realizzerà sarà un taylorismo fortemente

spurio, smentendo la disamina di DELLA ROCCA. Il rapporto

capitale-lavoro infatti rimane una commistione di discrimina-

zione e paternalismo con un rifiorire di iniziative e di proposi-

zioni tutte permeate di una concezione familistica dell'impresa.

Quindi già all'interno della crescita italiana si covavano delle

conseguenze drammatiche addebitabili sia alla politica degli in-

dustriali, sia alla schizofrenia spartitoria e mediatrice del

personale dominante. Si procedette certo alla diparti-

mentalizzazione, ma l'innovazione sarà feudalizzata e polarizzata.

 Le contraddizioni esploderanno con la reazione

della massa operaia generica orchestrata da sindacatI massificati.

 Il potere contrattuale crollerà proprio al suo api-

ce, una reale taylorizzazione in Italia è risultata mancata per due volte:

 con la reazione autoritaria delle direzioni,

poi con inflazioni galoppanti che distruggono il potere d'acquisto salariale.

 In conseguenza di ciò la taylorizzazio-

ne risulta totalmente fallimentare se non si concretizzano tutta una serie

 di circostanze favorevoli. Pensare di miglio-

rare semplicemente le condizioni del proletariato attraverso le

 regalie manageriali allo scopo di rafforzare la coo-

perazione citata da Marx non porta al miglioramento della posizione

 sociale del quarto stato che rimane subordi-

nato. Una semplice logica monetizzante NON EMANCIPA ANZI SCHIAVIZZA.

 

RICOMPOSIZIONE

 

La fondamentale caratteristica, italiana è stata quella di

un differenziato sviluppo tecnologico che ha prodotto una

 

manifesta stratificazione sociale.(Esattamente da quì passa ,

l'adeguamento politico ideologico del comunismo italiano

che ha dovuto abbandonare quasi subito qualsiasi  slancio

rivoluzionario incanalandosi in un obbligato "fiume" rifor-

mista...)ln questa differenziazione tecnologica si sviluppa

la quota dei servizi non disgiunti dalla produzione di beni

industriali,beni che assumono sempre più un ruolo centrale.

E' la terziarizzazione dell'industria la cui crescita si

calcola NON' alI' aumento dei consumi finali dei servizi ma

all'interno della crescente integrazione del terziario nel

sistema produttivo.Tra il 1959 ed il 1981 la quota degli

occupati nei servizi aumenta di due milioni,di essi ben il

37,92 per cento si colloca all'interno dei servizi destinati

al sistema produttivo,scavalcando di gran lunga quelli colloca-

ti nel commercio finale.E' all'interno di questo spostamento

che noi ricaviamo l'idea dei grandi mutamenti avvenuti

nella composizione organica del lavoro vivo,nella stratifi-

cazione di ceto e classe all'interno della industria.Entrando

nella specifica analisi dello statista torinese Gallino,noi

vediamo che gli imprenditori riferiti alle piccole unità

produttive a conduzione non manageriale passano,tra il 1951

ed il 1980,dall' 1,9 al 3,4 per cento,gli impiegati,gli

operai dei servizi globalmente considerati passano dal

14,3 al 21,3 per cento.Nello stesso lasso di tempo allo

interno del modo di produzione capitalistico-oligopolistico

l'alta dirigenza passa daIlo 0,15 allo 0,31 per cento,i lavo-

ratori dipendenti passano dal 5,5 al 12,4 per cento.Incro-

ciando i dati noi rileviamo come diminuisce la quota degli

operai che nel 1980 rastrella la stessa percentuale del

1951,mentre aumentano in maniera poderosa, i "tecnici" che

passano dall'I,22 al 4 per cento.unendo questi dati al crollo

degli impiegati nel mondo agricolo-che passano dal 28,7 a,l 5,4

per cento-ed all'aumento degli impiegati pubblici e privati

-che passano dal 4,9 al I7,6 per cento-capiamo la portata

della enorme trasformazione sociale realizzata.

Il nodo fondamentale di tutti questi dati "freddi" sta nella

regressione del mondo operaio che ha inevitabili conseguenze

a livello politico e sindacale.Allegata ad essa si unisce

la regressione strutturale in quanto la crescita dei tecnici

degli impiegati e degli occupati in genere nei servizi alla

produzione, rendono assa i complessa ed eterogenea non solo

la classe operaia ma anche la produzione moderna ed il

luogo istituzionale in cui essa si svolge:l'impresa.

Altresì l'orizzonte che si prospetta non è assolutamente

limpido e puro perchè la poderosa spinta delle nuove tecnologie

o produce arricchimento professionale o impoverimento assolu-

to della qualificazione.Tutto ciò lo riscontriamo fortemente

alI' interno di quello che abbiamo citato come "terziarizza.-

zione industriale" nella. quale risultano decisivi gli aspetti

organizzativi che influiscono immediatamente sui diversi

aspetti della qualità del lavoro,cosicchè nel lavoro NON

manuale convivono professioni qualificate e degradate,senza

che i mutamenti quantitativi trovino rispecchiamento in alter-

native professionali univoche.Inoltre il peso della fase

organizzativa spinge per il totale svincolo del lavoratore

da qualsiasi forma di "tutela industrialista" come lo

Statuto dei Lavoratori che,per l'estrema: forma eterogenea

assunta dal lavoro,non può adagiarsi alla nuova realtà.

Ad aggravare il tutto è,nello specifico caso italiano,il

permanere di moderno e premoderno:

quasi che questa nostra società muti senza scrollarsi di

dosso nulla del passato e senza presentarsi mai con un solo

volto:quello dell'innovazione splendida e pura.Per questo

il recentissimo decreto legislativo approvato in Senato

non appa.re come uno slancio in avanti nella nuova  ridefi-

nizione di lavoro perchè si lega strettamente alle esclusive

esigenze organizzative imprenditoriali citate sopra,tendendo

a  ridurre sempre più la qualifica di operaio ad avventiziato

e a lavoratore "straordinario".

Effettivamente la figura  dell' operaio non solo è diminuita

numericamente tra il 197I ed il I98I-passando dal 31 al 26

per cento della popolazione attiva. mantenendo il suo trend

di costante regresso ,ma si trasforma qualitativamente in modo

multiforme e non unidirezionale e questo a causa del diverso

livello delle dimensioni di scala delle imprese,per il pro-

liferare diseguale dei fattori,per il progresso tecnico

presente in forma discreta  e non continua, per il contempo-

raneo presentarsi sulla scena di quelle economie locali e

subregionali che sono un coacervo di interdipendenze infra-

settoriali e intersettoriali e in cui quindi si conservano

notevoli forme di differenziazione sociale .Analizzando

questo processo sociale frastagliatissimo abbiamo la distru-

zione di quella forza  lavoro cristallizzatasi in mestiere

come nel caso dei tessitori e dei filatori,passando ai metal-

meccanici alesatori,tornitori,utensilisti e attrezzisti che

lasciano il posto ai robot cercando di riciclarsi come

manutentori,ai lavoratori professionalizzati del legno

attaccati dalla lavorazione industriale e dai materiali

sintetici.Un peso importantissimo assume la disoccupazione

all'interno di questo processo di trasforrmazione.Disinvesti-

menti e ristrutturazione delle grandi imprese accentuano la

disoccupazione giovanile sotto la spinta del blocco delle

assunzioni.

La trasformazione tratteggiata. non aggredisce il concetto di

lavoro ma lo strozza e quello che sorge dalla strozzatura

è la. disoccupazione.AIl' interno delle strategie di dispersione

delle tensioni sociali abbiamo la cristallizzazione del debito

pubblico.Depressione e ristrutturazione ampliarono la spesa-

a partire dagli anni settanta-soprattutto sotto l'effetto

della Cassa Integrazione-introdotta come ordinaria nel 1941

dal 1968 si "eleverà" a straordinaria in relazione alle

:riconversioni industriali-che proteggeva e protegge i lavora-

tori espulsi dalla produzione con integrazione dei loro

guadagni proporzionali al salario prima corrisposto.

Nel 1984 i lavoratori interessati alla Cassa Integrazione

saranno quattrocentomila e tutti concentrati nel centro-

nord.A questi oneri,che si ripartivano tramite lo stato

sulla collettività, vanno aggiunti i trasferimenti delle

imprese,erogati per sostenere l'ammodernamento e la

ricerca tecnologica,con un ampliamento del carico di spesa

gravante sulle finanze pubbliche.Con la restrizione crediti-

zia, inaugurata negli anni ottanta, il disavanzo statale si

ottenne sempre meno per via monetaria e sempre più grazie

all'emissione di titoli,ampliando in misura via via crescente

il debito pubblico.Le riforme fiscali del 1951 e 1971 confi-

gurando l'imposizione sui redditi delle imprese e dei lavora-

tori autonomi doveva portare ad un avvicinamento al modello

della tassazione del reddito effettivo,mentre le imposte

 dirette colpivano in misura sempre maggiore i redditi da

 lavoro dipendente. Tuttavia  le aliquote assai elevate della

tassazione cancellano i margini di una progressività NON

controproducente sollecitando in tal modo la piaga della

evasione fiscale che in Italia risulta assai rilevante e dif-

fusa.Le misure adottate dalla coalizione conservatrice

attualmente al governo hanno cancellato il carattere progres-

sivo della tassazione che tuttavia non ha aggredito il

fenomeno dell'evasione fiscale perchè tali misure non sono

state accompagnate dalla riforma dell'apparato statale che

si mantiene assai  evasivo per quanto riguarda,ad esempio,il

controllo.Questo perchè è in atto una ridefinizione dello

stato come imprenditore politico.Autofinanziamento ed aumento

dei tassi di profitto dei grandi gruppi industriali allonta-

nano quell'invocazione che faceva negli anni ottanta il

Governatore della Banca d'Italia che voleva l'intervento

delle banche nel capitale industriale a fini di sostegno e

riduzione dell'indebitamento.Se quell'intervento fosse stato

effettuato esso non avrebbepotuto non assumere il volto di

una estensione della presenza dello stato nell' economia.

Oggi il rapporto appare rovesciato anche se non definitiva-

mente definito.Come già stigmatizzato,quello che caratterizza

il caso italiano è l'allentamento delle misure di regolamen-

tazione,nella contestuale centralità permanente degli istitu-

ti bancari.La rilevante trasformazione in corso è quella

della  banca pubblica che diviene società per azioni così da

consentire ad essa il ricorso al mercato dei capitali in

condizioni di parità rispetto alle banche private e più facil-

mente dar corso ad acquisizioni e fusioni.Nella trasformazione

"lo stato dei partiti"'(come; lo definisce Sapelli) realizzerà

strategie dirette a minimizzare le quote di autonomia nel

sistema delle nomine del top management attraverso,ad esempio,

il mantenimento del 51 per cento del capitale azionario in

mano pubblica.

 

 

Il problema fondamentale è che la  società economica ha assunto

una tale forza ed una tale articolazione da non richiedere

la funzione dello stato come ultimo regolatore e questo non

solo in rapporto all'erogazione di sostegrro finanziario.

Secondo SapeIli la dismissione del carattere assistenziale

degli Enti dovrebbe rinnovare la funzione originaria  dello

specifico modello italiano di intervento dello stato legando-

lo,ad esempio,alla intrepresa  in settori tecnologicamente

avanzati.In realtà invece si sta assistendo ad una. stolida

e preponderande liberalizzazione tendente a scavalcare la

burocrazia. centrale attraverso il suo annullamento.  Un

esempio lampante di ciò ci viene dal progetto "federalista'

portato avanti dalla  maggioranza conservatrice e destrorsa

del parla.mento italiano.Sulla scorta dell'idea di decentra-

mento statale,il federalismo .proposto in realtà serve ad

accrescere in maniera esponenziale il carattere svincolante

ed anti-sociale di una società economica prepotentemente

liberista.A confortare queste nostre tesi sopra un "federa,-

lismo anti-sociale" sta il fatto che purtroppo "lo stato

dei partiti" non diede seguito alla importantissima legge

n.382 del 1975 che delgava al governo quei decreti legisla-

tivi necessari a regolare il completamento dell'ordinamento

regionale finalmente reso adempiente nel 1970.

Con tale legge il Governo avrebbe dovuto trasferire alle

regioni quelle funzioni elencate nell'art. II7 della Costitu-

zione raggruppate per "settori organici" che verranno defini-

 

ti dai decreti 6I6 e 6I7 del  luglio 1977,

Una completa realizzazione dei tre decreti avrebbe permesso

già negli anni settanta l'alleggerimento della amministra-

zione centrale con il taglio di ben 9 ministeri,I5 direzioni

generali e 24 tra divisioni,ispettorati e uffici equiparati.

Invece la resistenza del nocciolo forte dello stato centrale,

la mancata spinta propulsiva dell' "alternativa delle regioni"

subito assorbita dalla pratica deviante della corruzione

amministrativa, hanno finito per esaltare quegli elementi

patologici legati alla regionalizzazione ed alla crescita

dei poteri economici locali.La sovrabbondanza di norme che

paradossalmente anzichè contrastare la corruzione ne costi-

tuiscono la cornice indispensabile,lasciando spesso le amminis-

trazioni libere di scegliere il diritto applicabile al singo-

 lo caso,la debolezza dell'amministrazione nell'esprimere ap-

 

prezzamenti di natura tecnica,l'inadeguatezza dei controlli

che restano generalmente formali e non di sostanza porteran-

no al "collasso" emerso durante l'inchiesta "Mani pulite"

ed alla spinta,profusa, proprio all'indomani della. inchiesta,

dei poteri forti della società economica di liberarsi defi-

 nitivamente dell'intermediazione amministrativa.

 

 

Di fronte alla destrutturazione del mondo operaio,in relazione all'estrema eterogeneità del mondo del lavoro,allo

interno delle politiche di dispersione delle tensioni sociali

 realizzate dagli stati è possibile rinnovare una tensione

socialista rivoluzionaria ?

Da riscontri realizzati,in mancanza di una strutturazione

ideologica  precisa   è  l' impulso mediatico a  fare da spinta,

ma tale impulso risulta essere fine a se stesso. Bifo Berardi ci illustra,dall'esperienza di Potere Operaio,

come l'ideologismo tenda ad essere assorbito dall'elemento

volontarista leninista, difficilmente adottabile all'interno

di quello che è l'odierna frastagliata società.

Da, Potere Operaio si fecero analisi sopra una nuova ridefini-

zione del concetto di lavoro disgiungendolo sia  dal salario ,

che dal tempo come metro di valutazione della produzione

realizzata.II soccorso tecnologico avrebbe dovuto, teoricamente,

dare slancio a  questa visione.TUttavia rimaneva un fattore

di decisiva importanza,:ovvero nell'Italia degli anni settanta,

che vide svilupparsi questa concezione,NON si era giunti alla

socializzazione dei mezzi di produzione.Gli operai certamente

erano giunti ad un avanzamento statuale importante,come di-

mostravano gli accordi sindacali della fine degli anni sessanta

ma tutto avveniva all'interno di un sistema capitalistico

che ha saputo incanalare in senso tayloristico le spinte

provenienti dal basso.E' nella socializzazione dei mezzi di

produzione  la conditio sine qua  non è possibile procedere

 ad una legittima ridefinizione del lavoro spinta dalla impor-

tante crescita tecnologica.Altresì dobbiamo aggiungere che

una ridefinizione lavorista senza una importante cultura  ideo-

logica alla base sollecita lassismo e disimpegno nella massa

lavorativa che tende a crogiolarsi nel benessere perdendo di

slancio in avanti.La polarizzazione della società esistente

fino alla prima metà del Novecento aveva permesso una diffu-

sione scolastica del pensiero marxista che per questo finiva

per perdere di slancio rivoluzionario a favore del gerarchismo

e del volontarismo leninista che a sua volta si svuota di conte

nuti in relazione alla frammentazione della società e della

classe operaia.Risulta  importante una base culturale ideo-

logica  che mantenga elevato il criticismo allo scopo di non

scadere in scolastica ed allo scopo di contrastare una

cultura mediatica fortemente omologante.Questo corpus ideo-

logico culturale deve essere depositato all'interno di una

organizzazione partitica secondo l'accezione fino ad ora

conosciuta?

Uha struttura gerarchica fortemente centralizzata ha dimos-

trato di essere troppo vincolata alla personalità dei vertici,

finendo per svuotare la  tensione critica ideale di un partito

rivoluzionario.Tutto ciò ancora di più se il partito si

inserisce in una struttura istituzionale-amministrativa

statale. La partitocrazia  così formata tende a difendere la

prassi piuttosto che l'interesse sociale miscelandosi per

questo troppo con la società economica espressione di interes-

si specifici.

La trasmissione gerarchica  della  cuItura rivoluzionaria è

senza  dubbio da scartare a favore di una suddivisione per

Cellule o Organismi che pur facendo capo ad un centro,

mantengono al loro interno una tensione ideologica critica

paritaria a  tutte le altre Cellule o Organismi una struttura

siffatta può adagiarsi meglio sopra  una  realtà frammentata

che per questo deve essere ideologicamente ricomposta.

 

·          * * *

·           

Col termine cooperativismo possiamo senza dubbio inglobare funzioni sindacali

come la concertazione che realmente si sono dimostrate deficitarie in quanto la

base fondamentale ideologica,la difesa del posto di lavoro,non solo non ha

impedito la de-industrializzazione e la fuoriuscita di migliaia di operai dalla

fabbrica,ma altresì ha polverizzato sia il potere d'acquisto del salario,sia

quell'humus dottrinale fondato sulla esperienza di lavoro "in catena" che -come

cita Giuseppe Della Rocca- all'indomani del secondo conflitto mondiale aveva

prodotto una avanguardia capace di opporsi alI' americanismo. In definitiva il

sindacalismo odierno non è più ideologico ma consumistico e le conseguenze,in

relazione ad una fase congiunturale sfavorevole,sono sotto gli occhi di tutti.

Le ristrutturazioni industriali partono da questo presupposto fondamentale:si

restringe fortemente la produzione " a catena",non si migliora al suo interno la

qualità del lavoro,si estende la produzione "per fase",si espelle

continuativamente manodopera,si tengono alti livelli inflazionistici per favorire

il mercato estero ed il suo costante legame con esso. Il frazionismo lavorativo,

che al suo interno diviene super- Iavoro,ovviamente restringe sempre di più la

piramide della redistribuzione della ricchezza accentuando sperequazioni

territoriali e del mercato del lavoro spingèndo al massimo quella tensione alla

terziarizzazione che in ogni caso è incapace di assorbire l'espulsione costante che

avviene dall'industria. All'interno della fase ristrutturativi lo stato,sfruttando il

crollo ideologico ed il sostanziale annichilimento della tensione sociale,procede

secondo una prassi consolidata:politica dei redditi a pioggia( pre-

pensionamenti,cassa integrazione) per sostenere l'urto inflazionistico soprattutto

nelle aree depresse,realizzazione di corpi legislativi in materia lavorativa

tendenti a legalizzare svincoli di fatto del mondo imprenditoriale.(legge delega

su lavoro )

Tuttavia questi provvedimenti non fanno che consolidare la competività storica

del nostro paese nelle esportazioni facendo permanere consolidati dualismi delle

strutture industriali italiane. L'indicatore ci viene nei differenziali tra prezzi

interni e prezzi esterni praticati sui mercati mondiali.

Mentre i settori tecnologicamente avanzati giungono a fissare prezzi per

l'esportazione più elevati di quelli interni,gli altri praticano una politica inversa

(caso Fiat) a riprova del nesso esistente tra protezione del mercato interno e

scarsa produzione di comportamenti tecnologicamente avanzati. Gli anni 80-90

hanno visto crescere il commercio intraindustriale tra il nostro paese e le altre

nazioni europee,come è evidente dall'aumento della dipendenza dall'estero per

quel che concerne gli input e le fasi di lavorazione intermedie,tanto più quanto

più è elevato il contenuto tecnologico delle stesse,il tutto all'interno del processo

di integrazione soprannazionale acceleratosi negli ultimi 10 anni. Ciò che

aumenta ,a fronte della contendibilità crescente dei mercati,è la diffusione

dell'oligopolio nazionale,cosicche all'interno della CEE possiamo riscontrare un

! ristretto gruppo di aziende che occupano la medesima posizione di mercato in

I diversi paesi e I'oligopolio si ripresenta come una costante dell'Italia industriale.

Secondo Sapelli ,imbrigliare e condizionare con legislazioni vincolanti e con

anguste ottiche nazionali,una situazione che vede irreversibile la competizione

globale è quanto mai dannoso. Questo perche la costante crescita dei gruppi

medio grandi industriali verte su ristrutturazioni e ridimensionamenti,aumento

del tasso di utilizzo degli impianti(terzo turno notturno e

superlavoro),acquisizioni dirette ad accrescere la gamma dell'offerta nei settori

consolidati(holding e partecipazioni),ripresa del grado di integrazione verticale e

di diversificazione nei prodotti correlati. Nuovamente si pone l'accento sul

ritrovato autofinanziamento che ha consentito di innescare un processo di

raccolta di capitali fondata sull'apprezzamento prima inusitato dei valori

mobiliari quotati in borsa,così da promuovere l'aumento dei capitali di rischio a

costi molto contenuti. Anche in questo processo I'oligopolio si rivela risorgente e

dominante:IRI,FIAT,Montedison,OIivetti rappresentano tra il 53 ed il 74 %

delle emissioni totali lorde.

Tuttavia i crack del 1987 e del 1989 hanno dimostrato i forti limiti di questa

strategia acquisitiva,rivelando incognite pesanti a fronte della instabilità dei

mercati finanziari. Tutto ciò ci riporta alle ristrutturazioni precedentemente

illustrate ed al placet del sindacalismo "consumista".

NON BASTA SOLO UNA DENUNCIA FINANZIARIA PER DARE UNA

SVOLTA REALE .

RIPIEGARE TUTTE LE DISCUSSIONI SOLO AD UNA POLITICA DI

CONSUMI,DI SPESA E' FINE A SE STESSO,PERCHE' IN PRATICA NON

SI INT ACCA UNA CONDUZIONE ECONOMICA CHE RISULTA

DEFICITARIA.

QUESTO PERCHE' DALLA SINISTRA GLI INDIRIZZI VERTONO TUTTI

SU CONCEZIONI MONETISTICHE DI ST AMPO T A YLORIST A CHE

SONO IL FULCRO DELLE psEUDO idEOLOGIE DESTRORSE CHE

COSTELLANO TUTTI I PAESI DELL' AREA occidENTALE.

SI E' PERSA PER STRADA  L' ADESI NE ALLA REALTA'

OPERAISTA,ALLA FABBRICA COME LUOGO DI CRESCITA DELLA

MASSA OPERAIA,DEL LA VORO COME PUNTO DI SVOLTA NON A

FAVORE DI UNA PRODUTTIVITA' AD ESCLUSIVO    vANTAGGIO DEL

CAPITALISTA,MA A FAVORE DELLA MASSA COME EFFETTIVA

SOCIALIZZAZIONE REALIZZANTE ATTRA VERSO UNA NUOVA

VISIONE DELL' ATTIVITA'   LAVORO SGANCIATA DALLA TRACCIA

DEL TEMPO ED AGGANCIATA FINALMENTE ALLO SVILUPPO

TECNOLOGICO.

A MIO AVVISO E' NECESSARIO DA  PARTE DELLA SINISTRA

DISTRUGGERE COMPLETAMENTE L'INDIRIZZO

TAYLORISTA,PRODURRE UN NUOVO TIPO DI PROPOSTA

DIAMETRALMENTE OPPOSTA A QUELLA DESTRORSA,PUNTANDO

NON SU EVENTUALI MESSIA MEDIATICI O FINANZIARI CHE NON

POSSONO PORTARE NOVITA' ,MA RITORNANDO ALLA BASE,ALLA

MASSA LAVORATIVA,INTRODUCENDO NUOVE CONCEZIONI DI

LAVORO CHE SFRUTTINO LA CRESCITA TECNOLOGICA PER

ALLARGARE CONCETTI COME ASSUNZIONE E NON FERMANDOSI

SOLO ALLA OBSOLETA DIFESA DEL POSTO DI LAVORO.

CON QUESTA DIZIONE SINDACATI E PCI NON HANNO IMPEDITO

FINO AD OGGI LE CONTINUE ESPULSIONI DI LAVORATORI E LA

PROGRESSIVA RIDUZIONE DELL'INDUSTRIALIZZAZIONE SOCIALE E

PER INDUSTRIALIZZAZIONE SOCIALE INTENDO LA CRESCITA

IDEOLOGICA E MATERIALE DELLA MASSA LAVORATIVA

ALL'INTERNO DELLA FABBRICA STESSA CHE IN QUESTO MODO NON

VIENE PIU' AD ASSUMERE UNA FUNZIONE ALIENANTE E REPULSIVA.

IL LASSISMO PERPETRATOSI ALL'INDOMANI DEL COMPROMESO

STORICO HA FINITO PER FAVORIRE UNA DIRIGENZA INDUSTRIALE

E FINANZIARIA ANCORATA A CONCEZIONI FAMILISTICHE E

FEUDALI CHE HANNO FOMENTATO NEL TEMPO LA PRASSI DELLA

TANGENTE,DELLA MONOPOLIZZAZIONE.

IN QUESTO MODO NON DEVE MERAVIGLIARE L'ESTENSIONE DEL

SOMMERSO ,DEL LAVORO NERO,DELLE COOPERATIVE MODELLO

CAROVANA,DELLO SFRUTTAMENTO DELLA MASSA

EXTRACOMUNIT ARIA,DELL 'ESTENDERSI DI POLITICHE FONDATE

SULLA DIFFUSIONe di PAURE ANCESTRALI RIFERITE AL COLORE

DELLA PELLE ED ALLA RELIGIONE.

 

 

LA QUARTA PARTE:ATTACCO ALL’EMPOWERMENT ED ALLA SUA CONTROPARTE COMPOSIZIONISTA EUROPEA

 

Il grimaldello monetistico anti accumulativo,rappresentato dall’empowerment,non aggredisce il concetto il concetto di profitto perché non considera l’importanza della “fase lavorista industriale”. Marx infatti ci informa che la tendenza necessaria del capitale si realizza nell’aumento della produttività del lavoro come massima negazione del lavoro necessario. A mio parere è in questo lo slancio in avanti:nel rifiuto del lavoro come dinamica della sottrazione del tempo rispetto alla prestazione salariata. L’empowerment americano si realizza come riconsiderazione di Taylor in relazione ad una ricchezza propria,ad una globalizzazione che non ha contribuito alla crescita del potere d’acquisto del soldo americano.

Effettivamente è nel composizionismo l’attacco moderno al lavoriamo alla Bocca che non impedisce i licenziamenti,le riconversioni,i ridimensionamenti. Comporre ovvero montare secondo nuovi principi elementi non più modificabili dalla persuasione politica (come il rifiuto del lavoro) secondo dinamiche evolutive autonome.

Comunismo territoriale,blocco autoritario socialista,capitalismo globale si sono paradossalmente fusi all’indomani del crollo del muro. Da entrambi i lati dell’ex muro  la gente ,la massa,spinge per consumare e non per lavorare in fabbrica secondo il canovaccio degli anni cinquanta. La spinta è verso lavori-non-lavori,verso una acquisizione di reddito sempre più svincolato dal tempo  e di fronte a questa spinta il lavoro anni cinquanta viene sempre più meccanizzato non tecnolocizzato,ovvero l’uomo diviene assoluta macchina a disposizione del capitalismo. Nuovamente il grimaldello monetistico si sposa a doppio filo con la capacità dello stato-struttura di garantire la capacità di consumo attraverso lo stordimento continuo delle tensioni ed il fagocitare di tutto ciò che si pone all’opposizione. La traccia del denaro compie poi il salto di qualità globale con la spinta ineliminabile verso la conquista di fonti energetiche. Questa sostanziale omologazione si scontra e stride nei confronti di porzioni di mondo che invece mantengono evoluzioni differenti come il mondo rurale asiatico,il mondo islamico,le realtà rurali africane e latino americane. In questi mondi permangono legami personali alla terra che noi non concepiamo più. In questo modo ecco che si cancella in noi la capacità di capire l’esistenza e l’appoggio dato a dittature anche sanguinarie.

La spersonalizzazione omologante che noi accettiamo come un dato di fatto su quei territori non esiste,perché lì è ancora il rapporto di sangue a funzionare.

Questi rapporti personalistici pseudomedioevali sono stati erroneamente  considerati,dalle avanguardie ideologiche marxiste,non più capaci di influenzare quello che è lo sviluppo dell’economia globale. In questi ambienti ci si convinse che il contadino del Chiapas,il bracciante cinese,il pastore della Mesopotamia non fossero più in grado di incidere sul circuito economico mondiale teso a svilupparsi e ad incerarsi indipendentemente ,come una sorta di Leviatano mondializzato. Invece la reale portata dell’abbattimento degli edifici statunitensi simbolo dello skyline americanocentrico sta proprio nella sostanziale smentita di questa idea perché,pur essendo stato architettato e organizzato da un gruppo di uomini socialmente elevati,l’attacco agli USA vede alla sua base il sostegno di un’ampia parte del mondo che risulta svincolata da quello che è la globalizzazione. Intere placche continentali come l’America Latina,l’Africa,la quasi totalità dell’Asia,non vantano legami o alleanze con gli USA,mantenendo una base economico sociale ancora a prevalenza rurale che non interpreta assolutamente quello che è il modello post-industriale euro-americano.

Una mancanza di continuità che si traduce in rifiuto dell’ateismo ,del laicismo e della spersonalizzazione a favore di ideali religioso familiari assai forti e radicati . Ed è sopra questa cesura che si ergono e si sostengono le organizzazioni definite terroristico religiose ,proprio su quella porzione di umanità che erroneamente è stata considerata ininfluente. Questo passaggio risulta fondamentale per staccare il mio pensiero dal filone composizionista ancoratosi all’empowerment americano che non attacca il modo di produrre capitalista,sovrapponendosi ad esso.

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Linea Critica e per gentile collaborazione di Andreas Obermann







    
entra nella mescalinica Linea Critica

Copyright Vietata la riproduzione :