POST EUROPA

Nel maggio 2004 dieci nuovi paesi dovranno entrare in una UE abbastanza sui generis. Settantatre milioni di persone che realizzano complessivamente un pil inferiore a quello dell’Olanda. Questi numeri hanno allarmato i “truster” europeidi,la sproporzione infatti viene vista come costo di produzione decisamente inferiore e per questo minacciosa sul mercato;dall’altra parte la relativa quota esportativa dei medesimi risulta così bassa da rappresentare un terreno di conquista. Il mercato di assorbimento della produttività occidentale viene visto come importante contro altare alla febbre cinese,che tanto assilla i truster europeidi. La problematica quindi si sposta sul fronte degli spostamenti umani: solo nel 2003 l’Italia ha regolarizzato 600mila lavoratori “extra”,un numero da solo responsabile dell’aumento della popolazione ( se gli indici fossero naturali,i tassi di natalità sarebbero ampiamente al di sotto dello zero). L’integrazione europea assume questo fondamentale valore: fornire manovalanza per una popolazione in declino morfologico,fornire spazi per il subappalto,per l’investimento fuori piazza a basso costo ed a bassissimo rischio. I segmenti fondamentali sopra cui si concentrano gli interessi sono quelli energetici ,gas ed energia elettrica,dell’acciaio,della telefonia,del mercato finanziario con la privatizzazione del grosso corpo sovietico ereditato da quei 10 paesi. E’ ancora la piccola e media impresa italiana a venire addotta come scudo fondamentale contro gli scompensi economici della globalizzazione. A loro viene sollecitata la delocalizzazione per crescere potendo contare su grimaldelli e pezze non indifferenti ( prima tra tutte la contabilità creativa ed il buon ufficio presso la Russia “cecenizzata”…). Nonostante ciò la peculiarità italiana è anche sul fronte della migrazione interna. IL 2003 ha visto riprendere il fenomeno che vede come tappe finali non più lo storico triangolo industriale ,ma il quadrilatero formato da Bologna-Padova-Bergamo-Reggio Emilia. Le regioni che cedono popolazione vedono in testa soprattutto la Calabria. Si calcola che dal 1997 si è verificato un cambio residenziale per 150mila persone all’anno ,fino ad arivare ad una cifra complessiva vicina al milione. Questo nuovo balzo emigrativi viene correlato alla chiusura della Cassa del Mezzogiorno e dell’intervento dello staTO nel sud: di fronte all’aumento del costo della vita si è assistito ,nelle regioni meridionali,ad un crollo della qualità dei servizi resi a cui si allega la cronica depressione delle attività produttive incapaci di auto sostenersi all’interno di un mercato fortemente feudalizzato ( sintomatico il caso Italkali…). Continua a mantenersi la dequalificazione scolastica: qualcosa come il 37% degli emigrati detiene solo la licenza elementare e va a coprire i posti della grossa ristorazione,del trasporto,del comparto ospedaliero. Nell’area Bergamo-Brescia si affiancano alla diaspora “extra-comunitaria” assorbita nell’industria ( acciaio,mobili,cantieristica,gomma). Lo spostamento massiccio di umanità ha riportato in auge altresì la problematica della mancanza di alloggi “sociali”:  i prezzi dei fitti sono così elevati nei grossi centri da determinare frizione sociale e questo all’interno di un paradosso macroscopico in quanto l’Italia è il maggior produttore mondiale di cemento (probabilmente buona parte assorbito nelle ristrutturazioni….)

 

 

 

a cura di Linea Critica e per gentile collaborazione di Andreas Obermann



    
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