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Da "Prometeo" 2 VI Serie- dicembre 2000

Contro l'imperialismo o contro l'America?





Il motto di sempre

Proletari di tutti i paesi, unitevi! è l¹appello, la parola d¹ordine con
cui si chiude il Manifesto del 1848, scritto da Marx ed Engels su mandato
della Lega dei comunisti, ed è anche l¹imperativo con cui Marx nel 1864
termina l¹indirizzo inaugurale dell¹Associazione Internazionale degli
Operai: la Prima Internazionale.

I fondatori del socialismo scientifico avevano assolutamente chiaro che, già
allora, lo spartiacque cruciale, quello in ultima analisi più netto, che
divideva la battaglia per il comunismo da qualsiasi altra forma di critica
alla società capitalista era l¹internazionalismo proletario, cioè il
perseguimento da parte dei comunisti degli interessi mondiali della classe
lavoratrice al di là e contro tutte le frontiere nazionali. E questo in
un¹epoca in cui, a detta degli stessi Marx ed Engels, le lotte anticoloniali
e i movimenti di liberazione nazionale avevano ancora una funzione
oggettivamente progressiva.

Sarà poi il Partito bolscevico di Lenin che, opponendosi al fronte unico
guerrafondaio di reazionari e socialdemocratici, guiderà gli operai e i
contadini russi fuori dal macello fratricida del conflitto imperialista. E
saranno ancora i bolscevichi che nel 1919 promuoveranno la fondazione della
III Internazionale; quell¹Internazionale che, al momento della sua nascita,
avrà come obiettivo centrale l¹allargamento della rivoluzione proletaria su
tutti i continenti nella prospettiva irrinunciabile del Soviet Mondiale.

Perchè irrinunciabile? Perchè l¹internazionalismo proletario è da sempre il
principio su cui i comunisti autentici hanno dovuto insistere di più?

I motivi sono essenzialmente due, che potremmo definire uno di natura
strutturale, e l¹altro di natura sovrastrutturale. Il motivo di natura
strutturale è legato all¹impossibiltà oggettiva della costruzione del
socialismo in un solo paese, e quindi alla necessità che l¹economia
socialista, una volta instaurato il potere proletario in uno o più paesi,
sostituisca progressivamente e velocemente il modo di produzione
capitalistico su scala mondiale. Per cui ne discende la necessità
dell¹instaurazione a livello internazionale del potere proetario stesso.

Il motivo di natura sovrastrutturale è invece legato alla durissima lotta
contro la più viscida arma ideologica dei padroni: il nazionalismo. E¹
attraverso il veleno patriottico che la borghesia riesce a intruppare la
classe lavoratrice dietro la propria bandiera - che ha sempre i colori
mistificanti della patria - e impedisce così ai proletari di riconoscere
l¹effettiva inconciliabilità dei propri interessi con gli interessi
capitalistici della propria borghesia nazionale, quando, al contrario, sono
gli interessi proletari che, su scala mondiale, vanno a coincidere oltre e
contro gli stati nazionali.

Le guerre di popolo contro popolo sono l¹esempio più terribile di questo
dominio ideologico, a cui i comunisti hanno ancora da rispondere con il
motto di sempre dell¹unità proletaria internazionale.

Le lotte di liberazione nazionale

Le rivoluzioni nazionali sono state lo strumento principale attraverso cui
le borghesie d¹Occidente hanno spazzato via i residui del sistema economico
feudale in Europa e negli Stati Uniti d¹America (dove la Guerra di
Secessione può essere letta come l¹ultima tappa di tale processo). In
particolare nel periodo che va dal 1789 (Rivoluzione francese) al 1871
(Comune di Parigi) si è avuta in Europa tutta una serie di rivoluzioni
democratico-borghesi grazie alle quali ogni borghesia nazionale ha potuto
fondare il proprio stato moderno, mezzo indispensabile per lo sviluppo del
modo di produzione capitalistico. Data la natura progressiva di queste
rivoluzioni, il giudizio di Marx ed Engels su di esse fu ovviamente
positivo.

Nel O900 il quadro cambia radicalmente. Il capitalismo non si fonda più sul
libero mercato ottocentesco, ma sul monopolio, e il capitalismo
monopolistico produce inevitabilmente la guerra imperialista. L¹Europa delle
nazioni scatena il primo conflitto mondiale, che sancisce definitivamente la
fine del capitalismo progressivo e l¹inizio della sua fase decadente. Dal
1914 insomma capitalismo significa imperialismo.

La rivoluzione d¹Ottobre dovette subito fare i conti con la questione
nazionale, poichè nel 1917 esistevano ancora molte colonie ed esistevano
ancora, oltre i confini delle repubbliche sovietiche, numerosi regimi
semi-feudali. Lenin sostenne che a certe condizioni - prima fra tutte la
presenza del Partito comunista - le lotte anti-coloniali potevano inserirsi
nella strategia complessiva del movimento operaio internazionale, che allora
poteva contare sulla forza trascinante e propulsiva dello stato sovietico. E
per favorire la resistenza dello stato sovietico stesso, accerchiato dal
cordone sanitario anticomunista, i bolscevichi ritenevano auspicabile
l¹alleanza temporanea con quelle borghesie nazionali che si opponevano
all¹imperialismo occidentale. Sbagliavano. Sbagliavano non solo per una
questione di principio - dato che ormai le maglie economiche del
capitalismo, come lo stesso Lenin sosteneva, dominavano ormai a livello
mondiale e integravano nel sistema di dominio imperialista le residuali aree
precapitalistiche - ma anche perchè nei fatti, quando quest¹alleanza fu
tentata, come in Turchia e in Persia, i comunisti non ne ebbero vantaggio
alcuno e l¹imperialismo occidentale non fu affatto indebolito.1

Ma l¹errore dei bolscevichi riguardo alla questione nazionale non è stato
tanto l¹appoggiare o l¹assecondare quei popoli che rivendicavano
l¹autodeterminazione, quanto l¹aver trasformato in dottrina un espediente
tattico che poteva essere comprensibile - anche se scorretto - solo alla
luce della situazione assolutamente particolare in cui era maturato. ³Il
fatto che in conclusione - diceva Rosa Luxemburg - la questione delle
rivendicazioni e tendenze separatiste nazionali è stata gettata nel mezzo
della lotta rivoluzionaria (...), ha portato il massimo disordine nei ranghi
del socialismo ed ha scosso la posizione del proletariato appunto dei paesi
limitrofi.²1 (alla Russia rivoluzionaria, n.d.r.).

Alla fine della seconda guerra mondiale la situazione cambia nuovamente: si
impongono due blocchi imperialisti contrapposti - USA e URSS - che dopo
essersi spartiti precise aree di influenza sull¹Europa, scatenano
l¹incandescente guerra fredda per il dominio sul mondo.

E¹ a questo punto che gli Stati Uniti d¹America diventano il nemico numero
1: non solo per gli stalinisti - come era normale che fosse - ma anche per i
gruppi trotzkisti e, almeno fino agli anni ¹60, per Bordiga e i bordighiani.
Per i gruppi trotzkisti infatti l¹URSS non era un paese capitalista, ma uno
stato operaio degenerato. Senza soffermarci troppo sulla questione, la
conclusione di questa analisi è: non essendo l¹URSS capitalista, non può
essere nemmeno imperialista. Ergo, l¹unico imperialismo è quello americano.

Bordiga, invece, nel dopoguerra non riusciva a sostenere che in URSS ci
fosse il capitalismo di stato, e preferiva parlare di industrialismo di
stato, cioè, in sostanza, un capitalismo ancora in formazione. Così, se è
vero che l¹URSS era un paese imperialista, quello messo in atto era comunque
un imperialismo di serie B rispetto a quello di serie A degli americani!
Dunque, due pesi e due misure.

Ne conseguiva che le lotte di liberazione nazionale andavano appoggiate
eccome, anche se dietro di esse si nascondevano - e nemmeno troppo bene -
gli interessi imperialistici dell¹URSS: per i trotzkisti perchè non erano
interessi imperialistici, ma interessi di un paese che, malgrado la sua
degenerazione, aveva questa sana abitudine di esportare la pianificazione
economica che era - di per sé - un germe di socialismo, retaggio
misteriosamente sopravvissuto della Rivoluzione d¹Ottobre; per Bordiga & Co.
perchè, oltre a non aver perso la loro funzione progressiva, rappresentavano
comunque un ostacolo all¹imperialismo di serie A.

Per chi invece, come noi, ha sempre ritenuto che l¹URSS fosse un paese a
capitalismo di stato e imperialista, in contesa mondiale con gli USA per
estendere il proprio dominio a discapito del blocco imperialista avversario,
le lotte di liberazione nazionale, oltre a non essere più progressive da
molto tempo, non potevano affatto sfuggire alla logica di questa contesa e
rappresentavano anzi una delle forme più evidenti attraverso cui la guerra
fredda si sviluppava. Se da una parte l¹URSS appoggiava i fronti di
liberazione in lotta con i regimi legati all¹imperialismo occidentale,
dall¹altra ³Ogni dittatore che si opponeva all¹Unione Sovietica riceveva il
supporto degli USA nel caso la ³democrazia borghese² avesse prodotto un
regime vicino all¹imperialismo russo²2 . E allora? Non bisognava forse
sostenere i proletari che si opponevano strenuamente alle terribili
dittature militari o alle pseudo-democrazie made in USA? Certo, ma a maggior
ragione bisognava criticare spietatamente le organizzazioni-guida e i
programmi di questi movimenti, che per decenni hanno stordito - e continuano
a stordire- il proletariato della periferia capitalista con l'abbaglio dello
stalinismo e della nazione liberata.

Nazione e globalizzazione

Tra il 1989 e il 1991 crolla definitivamente il blocco sovietico. L¹URSS si
sgretola e, secondo le previsioni della borghesia internazionale, si
dovrebbe aprire un periodo di pace e prosperità. Non è così: la crisi -
manifestatasi all¹inizio degli anni ¹70 - del terzo ciclo di accumulazione
capitalistico apertosi con la fine della seconda guerra mondiale, si allarga
e si approfondisce, e dopo aver causato la fine dell¹obsoleto sistema-URSS,
si abbatte ora con evidente violenza sui paesi occidentali. Esplodono guerre
in continuazione: dal Golfo Persico alla Yugoslavia, dalla Cecenia alla
Palestina, il capitalismo non dà pace.

Gli USA intervengono ovunque: forti soprattutto della loro assoluta
supremazia militare, gli Stati Uniti possono oggi mettere mano in ogni luogo
del pianeta per difendere, consolidare, allargare il proprio dominio
imperialista.

Ora, l¹aumento di ingerenza dell¹imperialismo USA è andato più o meno di
pari passo con l¹aumento della cosiddetta globalizzazione, cioè la creazione
di un mercato mondiale, senza frontiere, entro il quale il capitale delle
multinazionali, e in particolare il capitale finanziario, può muoversi con
libertà quasi assoluta. Per cui, tenendo conto del fatto che gli strumenti
più potenti di ingerenza politica ed economica della globalizzazione - come
il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale - sono gestiti e
controllati soprattutto dagli USA e in parte da un¹Europa che è comunque
sotto l¹egida statunitense, agli occhi di molti la questione appare
piuttosto semplice: imperialismo USA = globalizzazione = anti-nazione

Se allora si vuole fermare l¹imperialismo - che è come dire l¹imperialismo
USA - e al contempo opporsi alla globalizzazione, foriera di un capitalismo
selvaggio e feroce, bisogna recuperare la nazione, soprattutto quando essa è
aggredita direttamente dalla forza militare imperialista. Viva la Serbia
dunque, viva i Tupamaros e le FARC, viva la Palestina e il popolo arabo
(Israele è cane da guardia degli USA); viva anche la Cecenia? No, perchè la
guerra cecena indebolisce la Russia... e questo favorisce gli americani!

L¹inter-nazionalismo patriottico contro l'internazionalismo proletario

Non sorprende allora che certi rottami del neofascismo anti-americano
riaffiorino ora dalla merda e allarghino le braccia verso una certa sinistra
sempre meno classista e sempre più nazionalista. Interessante in proposito è
la presenza al Campo antimperialista organizzato questa estate da Voce
Operaia di una delegazione di Comunitarismo, gruppo italiano legato al
Partito Comunitario Nazional-europeo: fascisti di sinistra a cui piace Lenin
e Mussolini. D¹altronde secondo Voce Operaia ³così come tanti ex-compagni si
sono messi al servizio della borghesia, è ammissibile, anzi auspicabile, che
avvenga il processo inverso, soprattutto tra i giovani proletari che oggi
militano tra le file dell¹estrema destra fascista e razzista² (risposta su
internet a Umanità Nova). Effettivamente, da certa destra a certa sinistra
il passo è sempre più breve: perchè non discutere per tentare di chiarirsi?

Interessante è anche l¹appello lanciato dal Fronte Nazionale di Adriano
Tilgher a Che Fare: ³...a Che Fare, che presta attenzione alle tesi del
nostro giornale, rivolgiamo un doppio invito a fare. L¹uno è di non ritenere
la nostra posizione - socialista nazional-europea - ³interclassista², ma di
superamento delle classi. L¹altro è di cogliere l¹occasione di una certa
comprovata comunicabilità (...) per immaginare percorsi contingentemente
unitari.²

Che Fare, sul numero 53 di settembre-ottobre 2000, ha dedicato una pagina
alla risposta. ³E¹ fuori discussione, per noi, - si dice - che con
formazioni politiche come quelle che fanno capo a Rinascita (giornale del
Fronte Nazionale, n.d.r.) non c¹è niente che un¹organizzazione comunista
come la nostra possa ³ideare insieme², o fare insieme, neppure
contingentemente.² Bene. Ma vediamo oltre: ³Diverso è il caso di
manifestazioni in cui, a stretto toccarsi di gomito, possano trovarsi
fisicamente assieme individui e militanti anche diametralmente opposti tra
loro per ideologia e indirizzi. In questo caso noi non ci opponiamo al fatto
della mescolanza, ma lavoriamo a dar battaglia(...). Noi siamo entrati nelle
manifestazioni anti-Nato (ed anti-governo nazionale, giova ricordarlo) della
Lega in tutta chiarezza agendo esattamente in questa direzione.² E verso la
chiusura: ³...noi non siamo interessati a dividere le energie di lotta in
campo, ma a catalizzarle al programma ed all¹organizzazione comunista.²

Cosa? Quale manifestazione potrebbe vedere gomito a gomito comunisti
internazonalisti e patrioti europei di sinistra? Un corteo contro la Nato a
difesa di una nazione europea o araba aggredita forse, ma non certo un
corteo che si richiama - anche confusamente- all¹internazio-nalismo di
classe e che rifiuta di schierarsi con i fronti borghesi che partecipano
alla guerra. Le manifestazioni anti-Nato della Lega sono appunto un esempio
di anti-americanismo di stampo reazionario con cui i comunisti non hanno
nulla da spartire, indipendentemente dalla presenza di proletari nel corteo!
Non bisogna dividere le energie di lotta in campo? Ma sono energie di lotta
che cozzano - o dovrebbero cozzare - l¹una contro l¹altra!

Al di là di questi episodi che riguardano singole organizzazioni, da più
parti, negli ambienti magmatici della sedicente sinistra antagonista, che
vanno dall¹ala movimentista di Rifondazione comunista alle Tute bianche,
passando per una ³Autonomia di classe² quanto mai frantumata ed eterogenea,
si sente sempre più spesso parlare di Impero. Sì. Non ci sarebbe più
l¹imperialismo, che presuppone la presenza di interessi imperialistici
contrapposti, indipendentemente dal fatto che una delle forze imperialiste
sia - momentaneamente - dominante, ma un unico, grande Impero. C'è bisogno
di dire quale nazione lo incarna? Dunque, una volta di più,tutto ciò che va
contro questa strategia imperiale, è benvenuto.

Utilizzando un termine coniato da quelli di Indipendenza, la rivista
³nazionalitaria² (³nazionalista² è troppo di destra) che tra l¹altro ha
visto partecipare ultimamente uno dei suoi intellettuali di punta, Costanzo
Preve, ad una conferenza sulla Nato di Contropiani (area Tute bianche),
definiremmo questa nuova idea di lotta antimperiale inter-nazionalismo. Quel
trattino sta a significare che bisogna dare massima solidarietà a tutte le
lotte di liberazione nazionale di questo mondo (eccetto quelle che
indeboliscono i nemici dell¹Impero!) per creare tante nuove frontiere che
impediscano alla globalizzazione imperiale e alla oppressione straniera ad
essa legata, di dilagare. Certo, nella prospettiva che queste nazioni si
diano in futuro un impianto socialisteggiante.

Dalla Colombia al Chiapas, dalla Palestina al Kurdistan, tante patrie
libere e rosse...e viceversa

Noi non siamo d¹accordo. Noi riteniamo che questo inter-nazionalismo di
stampo patriottico sia assolutamente agli antipodi dell¹internazionalismo
proletario. Noi pensiamo che tutte queste pestifere scorie nazionaliste
rappresentino solo un gigantesco ostacolo sulla strada della maturazione
classista e internazionalista del proletariato mondiale. L¹imperialismo
americano è ora come ora quello dominante in senso assoluto? Questo non vuol
dire nè che sia arginabile con le lotte di liberazione nazionale, nè che sia
l¹unico imperialismo vigente, e l¹imperialismo straccione e regionale di
nazioni ³anti-americane² come Iraq e Serbia non ci pare affatto progressivo
per le sorti mondiali della classe lavoratrice. Indifferentismo? Noi lo
chiamiamo internazionalismo proletario.

Non solo. Il profilarsi all¹orizzonte di un blocco imperialista europeo o
anche euro-asiatico in contrapposizione a quello americano non è più solo
una fantasia dei fascisti di sinistra, ma un¹ipotesi realistica di quelli
che potrebbero essere i futuri equilibri geopolitici. Qualcuno forse ha già
una mezza intenzione di schierarsi con il blocco più debole o con quello
meno reazionario? Kautsky docet.

Note

1. In proposito si veda il paragrafo Leninismo? dell¹articolo Guerra e
politica rivoluzionaria, Prometeo 17 - serie V - giugno 1999

2. R. Luxemburg: La rivoluzione russa - edizioni Prometeo, marzo 2000 -
pag.17

3. Timor est pedina dell¹imperialismo - Prometeo 18, serie V, dicembre 1999
- pag.16

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