LA CITTA' MORTA

 

E' festa a Baghdad.



E¹ festa a Baghdad. Sono arrivati i liberatori.
Davanti al ³Palestine² ed allo ³Sheraton² i carri armati ed i blindati Usa
sono arrivati come di corsa, prendendo posto fin sopra le aiuole dei
parcheggi. Sono scesi velocemente i soldati, con le armi e le telecamere.
Hanno faticato ad entrare nella hall, a superare le ampie porte a vetri che
si aprono all¹interno.
I giornalisti dei networks tv li hanno respinti. Hanno provato a
respingerli. Non volevano partecipare alla festa. Gridavano i nome dei
colleghi uccisi ieri, colpiti con quei colpi di cannone deliberatamente
sparati tra il 14 ed il 15 piano.
Sono entrati di forza. Lo avranno fatto per far festa.

La voce del mio contatto mi arriva chiarissima, le comunicazioni come per
incanto sono riprese non più tardi di un¹ora fa.
E non mi parla di feste. I cittadini di Baghdad non sono stati invitati a
nessuna festa.
Nonostante le truppe americane si siano aperte all¹interno della città
sfondando la resistenza dei ³feddayns² e giungendo fin dentro i quartieri
popolari cannoneggiando e continuando a distruggere le abitazioni civili.
Inseguendo gli iracheni che non sapevano che fosse festa in tutta la città.

Centinaia sono i cadaveri con le budella al vento, con le mosche intorno
alle orbite degli occhi. Dove sono le tv?

E¹ il primo giorno questo senza bombe né missili e molti, tanti, tantissimi
erano usciti fin dal primo mattino dalle case, dai rifugi improvvisati che
erano stati le loro case per troppi giorni. Senza più cibo, acqua si sono
riversati verso il centro di Baghdad. Davanti ai magazzini alimentari che
ancora nascondevano viveri i più giovani e robusti hanno sfondato le
inferriate e preso quanto loro serviva. Poi anche più su, verso i quartieri
della borghesia di stato con le ville bianche circondate da giardini pieni
di banani. Anche qui scavalcati i muri, divelte porte e finestre con ferri
usati come piedi di porco, calpestati i preziosi tappeti dei saloni, buttate
a terra le porte delle dipense e fatto man bassa di cibo. Ma anche di
ventilatori, tv e radio.
Poi tutti via di corsa.

Neppure negli ospedali si sono accorti che è festa. Le migliaia di feriti
che giacciono in ogni angolo fuorchè nei letti perché non ve ne sono più,
continuano a non poter essere curati, le amputazioni proseguono senza alcuna
anestesia. Si continua ad urlare di dolore negli ospedali, a piangere. A
morire.

Almeno 3.000 le vittime degli ultimi tre giorni e più ancora i feriti.
Baghdad città morta. Senza aria di festa.

Milioni di persone, di uomini, donne, vecchi e bambini lontani dalle
telecamere dei networks implorano disperati i liberatori di non distruggere
le loro case. Ma vengono colpiti, incappucciati, legati e buttati come
rifiuti tra le macerie ed i corpi in putrefazione delle vittime.

No, no, qui non c¹è nessuna festa mi ricorda il mio contatto. Si sente
sparare, la resistenza è ancora tanta. Non so davvero cosa potrà accadere
questa notte.
Siamo sempre a Baghdad, dopo settimane di bombe e missili, migliaia di morti
che nessuno ha mai denunciato, almeno un quarto delle abitazioni civili
sono state distrutte, non c¹è acqua potabile, decine di migliaia di
cittadini soffrono di infezioni, tifo, diarrea. La minaccia del colera è
qualcosa di molto reale e preoccupante. Per non parlare delle altre zone
dell¹Iraq dalle quali non abbiamo informazioni sicure ed indipendenti.
Già, il resto del paese.

Le truppe Usa stanno realizzando una specie di spot pubblicitario davanti
agli alberghi dei giornalisti per dare l¹immagine al mondo intero della
liberazione di Baghdad. Ma non è così, si accalora il mio contatto, è questa
una città di 5 milioni di persone, chi può credere alle immagini rilanciate
via satellite di 150 iracheni che ballano e cantano davanti ai carri
armati?.
Già, chi?

Questa notte sarà un¹altra notte di sofferenza, dove non si cureranno i
feriti, dove si farà l¹appello dei vivi per contare i morti. Un¹altra notte
di digiuno, di acqua del fiume per bere e lessare i legumi. Un¹altra notte
di paura che i liberatori possano arrivare alla porta e sfondarla, aggredire
e distruggere tutto quanto è all¹interno. Ma di quale festa stiamo parlando?
Già, quale festa?

Ho imparato a conoscerle queste notti di Baghdad, mi riferisce il mio
contatto, sono notti che non finiscono mai, non si dorme, semmai si veglia.
Ci si sdraia vestiti dove ci si trova, i pochi soldi nascosti nelle tasche,
i piccoli ori che ogni famiglia possiede cuciti negli orli degli abiti delle
donne, i bambini tra le braccia. E mentre tutto intorno cadono bombe e
missili, o si sentono i colpi delle artiglierie, si fa un silenzio assoluto.
Come se anche il più piccolo sospiro potesse far scoprire che c¹è vita in
quella casa. Notti terribili ed indimenticabili in quelle case della città.
Notti da passare con le mani strette sul viso.
Già, la notte.

Che la notte sia leggera.
r.

Ps.

Mentre scrivevo questa corrispondenza, un contatto preziosissimo, mi ha
inviato queste brevi note di Charles Clover, inviato del ³Financial Times²,
che si trova a Najaf e segue in diretta televisiva su ³Al Jazeera² quanto
avviene nel centro di Baghdad e di fronte all¹hotel ³Palestine².
Le pubblico così come mi sono arrivate.
Quale festa a Baghdad?



da
Charles Clover
³Financial Times²
in Najaf
Iraq

Sto vedendo al Jazeera live. Bagdad. Panoramica dall¹alto. Vedo i carri
armati ma non vedo le folle festanti. Anzi non vedo folle di nessun genere.
Solo gruppetti. Alcuni hanno uno striscione con scritto ³Via gli human
shield². Altri stanno buttando giù una statua di Saddam. Notoriamente la
prima preoccupazione dei cittadini di una città martoriata!
Collaborazionisti? I fuorusciti al soldo degli americani, i nuovi miliziani
pagati dagli Usa che ci verranno spacciati per ³il popolo di Bagdad?


***
Wednesday April 09, 2003 at 03:34 PM
Truppe USA all'assalto dell'hotel Pelestine forse alla ricerca di cecchini.
panico tra la gente nell'hotel
donne e bimbi che tremano e piangono di paura, uomini in divisa urlano
bestemmie e ordini.
le telecamere delle truppe si soffermano sui quadri di Saddam presenti
all'interno, come per giustificare l'irruzione.
Proteste dei giornalisti che accolgono i militari al gido di "fuck USA" e
"Yankees go home".



 

 

La festa è finita.



La festa è finita.
I ³liberatori² sono tornati nei carri, negli autoblindo. Le jeep ³Hammer²
hanno ripreso a fare le staffette per le strade della città.
I 150/200 giovani iracheni che erano serviti come comparse per la festa in
mondovisione in Piazza Paradiso sono scomparsi. Tornati nelle loro case
senza luce e senz¹acqua. Ma con i pacchi di cibo che gli sono stati donati
dai ³furieri² dell¹armata americana.

Ed i combattimenti sono ripresi: a Saddam City, lungo la Shaab, sulle due
sponde del Tigri, intorno a ciò che rimane del Ministero dell¹Informazione.
Combattimenti duri ed impari. I marines si confrontano con uomini e ragazzi
che impugnano armi leggere e perfino bottiglie incendiarie.

I cannoni e le mitragliatrici rispondono schiantando sulle facciate delle
case migliaia di proiettili che sbriciolano infissi e finestrte, fanno
saltare i vetri inutilmente coperti di nastro adesivo.

Ed ancora sangue, feriti e vittime che sembrano non interessare più nessuno.
Certo interessano e preoccupano quella parte della stampa che alloggia al
³Palestine² e che non ha accolto come ³liberatori² i soldati che di forza
hanno fatto irruzione nell¹hotel, scandendo ad alta voce e ritmando i nomi
dei colleghi uccisi dal fuoco amico dei ³liberatori².

Sara è una giovane fotografa europea ³ufficiale², a Baghdad con un contratto
a tempo per conto di una importante agenzia stampa. Sara ha sempre seguito
diligentemente tutte le indicazioni che le venivano fornite dai funzionari
del Ministero dell¹Informazione, è in posseso di tutti i visti, i passi e le
autorizzazioni necessarie per lavorare alla ³luce del sole² nella capitale.
Per due settimane Sara è rimasta nella sua stanza d¹albergo con l¹obiettivo
puntato verso l¹esterno. Pronta a correre fuori ogni qualvolta si presentava
la possibilità di uscire con i pulman messi a disposizione dalle autorità
irachene per arrivare nelle aree della città dove i funzionari del Ministero
avevano deciso di portare i giornalisti.

E così sono andate avanti le giornate di Sara, giovane fotografa alla sua
prima esperienza come inviata di guerra, nell¹inferno di Baghdad.
Fino ad oggi. Fino all¹arrivo dei ³liberatori².
Passato l¹entusiasmo derivato dall¹ abbattimento della statuta un po¹ buffa
e un po¹ tragica di Saddam Hussein, Sara ha pensato davvero che Baghdad
fosse stata ³liberata².
E allora, cosa stare a fare lì in mezzo alla piazza in ³festa²?

Sara si è butatta a piedi per le strade subito dietro il ³Palestine² e lo
³Sheraton².
Gli autoblino ed i carri armati erano messi di traverso e puntavano le armi
contro centinaia di civili niente affatto desiderosi di unirsi ai
³festeggiamenti². Poco oltre e Sara assiste ai primo scontri a fuoco:
militari americani che inseguivano uomini e donne sparando raffiche di
mitra, carri armati che salivano e scendevano dai marciapiedi tritando sotto
i congoli tutto quanto si trovavano davanti come automobili, biciclette,
carretti di legno.
E poi i colpi di cannone, secchi che mandavano in frantumi le facciate delle
case, con la popolazione che usciva piangendo, terrorizzata.

Sara ha paura. Si ferma. Scatta una dietro l¹altra una serie di foto.
Non crede ai suoi occhi Sara: ma come, pensa, Baghdad non è stata
³liberata²?

Una jeep dei marines si avvicina da dietro, scendono tre soldati mentre uno
rimane alla guida. Le chiedono i documenti, i passi e le autorizzazioni.
Lei, che ha tutto, li mostra senza timore. Poi le viene detto che non poteva
fare foto, perché quella era zona di guerra.
Ma siamo a centocinquanta metri dagli albeghi dei giornalisti, prova a
giustificarsi. Le sequestrano le pellicole, e dopo averle strappato dal
collo uno degli accrediti le ordinano di andare via, di tornare in albergo.

Sara, con la preoccupazione di salvare le sue macchine fotografiche, si
incammina tornando sui suoi passi.
Ancora una raffica, ancora colpi, ancora urla,pianti, ancora quei rumori e
quei tonfi di vetri esplosi. E poi ancora urla, pianti, quei rumori e quei
tonfiSS..

Ritornata sulla piazza, la grande statua di Saddam stavolta è a terra.
Decapitata. Sul basamento di cemento gli stivali di bronzo del rais appaiono
come flosci, piegati su loro stessi.
La festa è finita. Solo carri armati e soldati. Ma nel silenzio ritrovato si
sentono, proprio lì dietro a due passi, ancora raffiche di mitra, ancora
colpi, ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi.

Che la notte sia leggera.
r.


da Shafa Badran
(Amman)
Rosarita Catani
Notiziario della tv giordana ore 19.30

9.4.03 ­ I soldati americani entrano nell¹aeroporto ³Saddam² in Bagdad dopo
la fine di un¹operazione nella capitale irachena. Intorno all¹aeroporto ci
sono 6000 soldati americani.
Tutti i membri del Governo iracheno hanno lasciato la città. Esattamente non
si sa dove si trovino.
L¹agenzia di stampa francese, ha dichiarato che l¹esercito americano è
entrato stamattina nei quartieri Nord Est di Bagdad dopo combattimenti tra
l¹esercito americano e quell¹iracheno. Alcuni testimoni hanno dichiarato che
i soldati americani sono entrati nella parte sciita a Nord di Bagdad senza
aver incontrato resistenza. Le televisioni internazionali hanno mostrato le
immagini d¹alcuni iracheni che esprimevano la loro gioia all¹ingresso degli
americani.
All¹interno della città si sono viste operazioni di sciacalaggio da parte
d¹iracheni . Degli uomini corrono all¹interno d¹uffici e portano via tutto
ciò che trovano: sedie, divani suppellettili. Entrano ed escono
dall¹edificio molto velocemente trasportando più cose possibili. All¹esterno
dell¹edificio uomini armati controllano la strada. Uno di loro strappa la
foto del presidente iracheno. Poco lontano altri uomini caricano ciò che
trovano ancora su dei camioncini e gridano ³ Americani go out². Prendetevi
Saddam ed andate via
La sede dell¹ONU è stata anch'essa saccheggiata. E¹ stata occupata dalle
forze americane anche la città natale di Saddam Hussein ­ Takrit.
I membri dell¹esercito americano continuano i loro attacchi al Palazzo
Presidenziale che si trova nel cuore della città.
Negli ospedali continuano ad arrivare feriti. Per i civili la situazione è
sempre più grave.
Una bambina è distesa sul letto dell¹ospedale. Ha tutto il vestito rosso.
Rosso di sangue. E¹ morta. Il padre piange. Si copre il viso con le mani. Si
avventa sul lettino vuole prenderla in braccio. Lo fermano e l¹allontanano
da quel corpo.
Una madre piange mentre medicano suo figlio ³Haram² dice questa guerra non è
contro Saddam è contro il nostro popolo ed i nostri bambini. ³Haram² ­
Wallah Haram².
Avere informazioni sta diventando un¹impresa difficile. Molti giornalisti
hanno lasciato la città.
I pochi rimasti hanno paura. In questo momento ­ h. 17.00 - si vedono le
immagini di un caro armato americano fermo nella piazza di Bagdad, al centro
della stessa la statua di Saddam Hussein, sopra ed intorno al carro armato
civili iracheni contrari al regime. Un iracheno sale sulla statua e lancia
una corda. Stanno tentando di abbatterla.
La situazione è veramente drammatica. I generi di prima necessità e le
medicine sono ancora giacenti ai confini. La distribuzione, molto
probabilmente sarà fatta dai soldati americani. La probabilità è che chi
avrà realmente bisogno di medicine e di cibo rimarrà senza nulla.



Jim Morrison a Baghdad.



Non è stata leggera la notte a Bgahdad.

Una notte cupa e buia sotto le bombe, i missili ed i rastrellamenti delle
truppe americane.

Una notte passata schiacciati l¹uno contro l¹altro nelle case e nei rifugi
improvvisati. Alcuni persino nascosti tra le rovine di quella che era la
loro casa.
Una notte di fame e di paura passata con l¹incubo dell¹arrivo dei marines:
il fuoco dell¹ artiglieria contro la facciata della casa, le grate delle
porte e delle finestre divelte a colpi di mitragliatore. E poi le botte le
percosse, la testa incappucciata.

No, non sono cambiate le notti di Baghdad.

Le bombe sono tornate a cadere senza interruzione, quelle bombe devastanti
che provocano crateri profondi alcuni metri, che spazzano via un edificio
come fosse costruito con i mattoncini del Lego e colpito da un maglio di
acciaio.

Eppure è stata una notte dove si potevano trovare molti in strada accomunati
e divisi da sentimenti diversi. Dalla curiosità di vedere e capire cosa
accadeva: se davvero gli americani erano in città, e se proprio erano
arrivati perché continuare a bombardare, sparare, ferire ed uccidere. Altri
erano in strada armati con pistole e fucili, forse ³Feddayn², forse no,
forse soldati spogliati della divisa.
Altri ancora erano i diseredati, i disperati, le vittime più vittime persino
delle vittime che si possono intravedere maciullate tra i sassi, le acque
fetide e le buche provocate dalle bombe. Quelli che non hanno più neppure
una casa, un luogo dove rifugiarsi, una vecchia automobile nella quale
nascondersi, Quelli che si sdraiano sui carretti abbandonati nelle strade,
che trovano riparo in mezzo alle macerie tirando su con le mani fragili muri
di mattoni per ripararsi dalla vista dei soldati.

Baghdad è senza acqua, e senza luce da una settimana. Le malattie infettive
iniziano a decimare gli scampati ai bombardamenti. I bambini vivono in
condizioni spaventose. Il tifo, il colera si insinuano in migliaia di
cittadini provocando focolai di contagio inimmaginabili.

Gli ospedali ed i ricoverati sono abbandonati a loro stessi: non una
medicina, non una sacca di plasma, non una fiala di anestetico, non una
confezione di antibiotici, non un metro di filo di sutura è più presente
nella farmacia degli ospedali. Non più un infermiere, pochi i medici,
stremati ed impotenti. Un disordine pieno di sporcizia e spazzatura, una
puzza nauseabonda che prende la gola.
Non un soldato americano si è presentato chiedendo se avessero bisogno di
qualcosa.

I bombardamenti sul popolare ed affollato quartiere di Mansour hanno
provocato solo nella mattina di oggi 35 morti e più di cento feriti tra i
civili.

Il mio contatto, che è tornato all¹hotel dove aveva passato oltre due
settimane insieme ad un collega film-maker, mi riferisce di azioni di
piccola e crudele ferocia ai danni della popolazione civile: prendere a
calci una donna che porta una pila impressionante di stoviglie tra le
braccia; inseguire due ragazzi di non più di 14/15 anni per centinaia di
metri con una jeep al solo scopo di terrorizzarli; fermare e perquisire,
sopra e sotto i vestiti, uomini e donne ridendo poi di loro, e del loro
imbarazzo e vergogna.

Alì ha 24 anni, e si è rifugiato nell¹albergo con l¹amico Fahed perché amici
del proprietario dell¹hotel e della sua famiglia. Parla inglese Alì e non ha
difficoltà a simpatizzare con i due reporters indipendenti. Alì suona la
chitarra, dagli amici è conosciuto come ³Jim² per via della sua smodata
passione per la musica rock, Jim Morrison ed i Doors in particolare.
Confessa che gran parte del buon inglese che parla lo deve ai testi delle
canzoni imparate a memoria attraverso le trasmissioni televisive dei canali
satellitari musicali che seguiva ogni notte, come ipnotizzato.
Alì non sa neppure più che fine abbia fatto la sua famiglia, i genitori e le
sorelle, ma ³sente² che stanno bene, è certo, senza averne alcuna prova, che
si sono rifugiati fuori Baghdad, nella fattoria di uno zio.
E parla Alì, parla di musica, vuole essere informato, è compiaciuto di
conoscere ed amare canzoni conosciute anche dai reporters.
Parla Alì e rivela che prima dei bombardamenti, la sera spesso si trovava
con altri amici per suonare e cantare le ³cover² di qualche pezzo musicale,
sempre dei Doors naturalmente, la sua passione.

La casa di Alì è crollata sotto un pesante bombardamento, sostiene di essere
vivo per miracolo perché proprio in quel momento sceso fino al fiume per
andare a prendere due secchi d¹acqua putrida necessari alla madre per
bollire le verdure, i ceci e le patate. Ha sentito il boato, ha visto le
fiamme, il fumo. Ha cominciato a correre come un matto verso la sua casa, i
secchi per l¹aria, tutta l¹acqua a terra, ma correva Alì, correva come un
matto.
Poi la vista delle macerie, le grida dei feriti, il terrore sui volti e
negli occhi dei sopravvissuti. E come in un sogno, o forse in un incubo, nel
dissolversi della nuvola di detriti e polvere ha visto la sua famiglia.
Tutti vivi. Sporchi, laceri, ma vivi. E¹ stata questa l¹ultima volta che Alì
li ha visti. Non è andato con loro dallo zio fuori città. E¹ voluto rimanere
con i suoi amici in città.

Rimane un attimo in silenzio Alì, e poi piange. I reporter non sanno come
consolarlo, come lenirgli il dolore. Gli ricordano che sta bene, che i suoi
familiari sono in salvo che nella drammaticità della situazione potrebbe
persino dirsi fortunato, se questa parola potesse avere un senso, qui a
Baghdad.
Continua a piangere Alì e risponde di essere consapevole che la vita sua,
dei suoi genitori e delle sorelle sono la cosa più importante, e che è
felice di questo. Piange Alì perché tra le rovine della sua casa è rimasta
sepolta, distrutta, la sua chitarra. Che in qualche modo era gran parte
della sua vita.

Piange Alì, ed il suo pianto non si ferma. Uno dei due reporter mette mano
allo zaino e tira fuori una armonica e dice ad Alì che è per lui, che è un
regalo.
Alì la guarda, alza gli occhi sui reporters e chiede: la conosci ³The End²
dei Doors?

Che la notte sia leggera.
r.



 

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